LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
La città fino a poche decine di anni fa era il luogo dell’incontro,
dello scambio, del passeggio. Per questo doveva essere, ed era, pur con
tutte le contraddizioni e le ingiustizie sociali bella, ricca di
monumenti, di sorprese, di prospettive sempre nuove.
In questa città, l’interesse dei cittadini era quello di uscire di casa e di vivere la città, di frequentarne le strade, le piazze e i luoghi di incontro. La casa era un luogo importante ma semplicemente legato alle funzioni primarie, tutta la vita sociale, gli interessi, il divertimento, si collocavano negli spazi pubblici della città.
Oggi sembra tutto completamente rovesciato: apparentemente il desiderio più forte che i cittadini esprimono è quello di rientrare il più presto possibile a casa. La casa è diventata ricca e confortevole, un luogo difeso verso l’esterno, rassicurante e rilassante verso l’interno. La città è diventata ostile, la si vive come pericolo da evitare. Si cerca di passare da un luogo privato (la casa) ad un altro (il luogo di lavoro, la scuola, la palestra, il teatro, ecc.) senza rischiare i tanti effetti di un preoccupante attraversamento e si preferisce utilizzare ancora un mezzo privato come l’automobile. Questa continuità di luoghi privati e la scomparsa dei luoghi pubblici caratterizza in qualche modo una “non città”.
La città risponde così alle esigenze dei cittadini adulti e produttivi, che hanno una forte motivazione ad uscire e i mezzi per farlo. Gli altri cittadini, quelli più deboli o semplicemente meno interessati ai grandi spostamenti, preferiscono non uscire di casa o farlo il meno possibile. Le nostre città sembrano non avere vecchi, handicappati. Nelle strade non si vedono bambini, che dividono il loro tempo fra la scuola, le tante attività pomeridiane (di chitarra, dei vari sport, di lingue) e la televisione.
In questa città, l’interesse dei cittadini era quello di uscire di casa e di vivere la città, di frequentarne le strade, le piazze e i luoghi di incontro. La casa era un luogo importante ma semplicemente legato alle funzioni primarie, tutta la vita sociale, gli interessi, il divertimento, si collocavano negli spazi pubblici della città.
Oggi sembra tutto completamente rovesciato: apparentemente il desiderio più forte che i cittadini esprimono è quello di rientrare il più presto possibile a casa. La casa è diventata ricca e confortevole, un luogo difeso verso l’esterno, rassicurante e rilassante verso l’interno. La città è diventata ostile, la si vive come pericolo da evitare. Si cerca di passare da un luogo privato (la casa) ad un altro (il luogo di lavoro, la scuola, la palestra, il teatro, ecc.) senza rischiare i tanti effetti di un preoccupante attraversamento e si preferisce utilizzare ancora un mezzo privato come l’automobile. Questa continuità di luoghi privati e la scomparsa dei luoghi pubblici caratterizza in qualche modo una “non città”.
La città risponde così alle esigenze dei cittadini adulti e produttivi, che hanno una forte motivazione ad uscire e i mezzi per farlo. Gli altri cittadini, quelli più deboli o semplicemente meno interessati ai grandi spostamenti, preferiscono non uscire di casa o farlo il meno possibile. Le nostre città sembrano non avere vecchi, handicappati. Nelle strade non si vedono bambini, che dividono il loro tempo fra la scuola, le tante attività pomeridiane (di chitarra, dei vari sport, di lingue) e la televisione.
LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA
DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
Il bambino come unità di misura
A. Rissotto, F. Tonucci
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR
http://www.lacittadeibambini.org/
Testo Completo:
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LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA
DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
Il bambino come unità di misura
A. Rissotto, F. Tonucci1
Istituto di Scienze e Tecnologie della
Cognizione del CNR
Introduzione
La città fino a poche decine di anni
fa era il luogo dell’incontro, dello scambio, del passeggio. Per
questo doveva essere, ed era, pur con tutte le contraddizioni e le
ingiustizie sociali bella, ricca di monumenti, di sorprese, di
prospettive sempre nuove.
In questa città, l’interesse dei
cittadini era quello di uscire di casa e di vivere la città, di
frequentarne le strade, le piazze e i luoghi di incontro. La casa era
un luogo importante ma semplicemente legato alle funzioni primarie,
tutta la vita sociale, gli interessi, il divertimento, si collocavano
negli spazi pubblici della città.
Oggi sembra tutto completamente
rovesciato: apparentemente il desiderio più forte che i cittadini
esprimono è quello di rientrare il più presto possibile a casa. La
casa è diventata ricca e confortevole, un luogo difeso verso
l’esterno, rassicurante e rilassante verso l’interno. La città è
diventata ostile, la si vive come pericolo da evitare. Si cerca di
passare da un luogo privato (la casa) ad un altro (il luogo di
lavoro, la scuola, la palestra, il teatro, ecc.) senza rischiare i
tanti effetti di un preoccupante attraversamento e si preferisce
utilizzare ancora un mezzo privato come l’automobile. Questa
continuità di luoghi privati e la scomparsa dei luoghi pubblici
caratterizza in qualche modo una “non città”.
La città risponde così alle esigenze
dei cittadini adulti e produttivi, che hanno una forte motivazione ad
uscire e i mezzi per farlo. Gli altri cittadini, quelli più deboli o
semplicemente meno interessati ai grandi spostamenti, preferiscono
non uscire di casa o farlo il meno possibile. Le nostre città
sembrano non avere vecchi, handicappati. Nelle strade non si vedono
bambini, che dividono il loro tempo fra la scuola, le tante attività
pomeridiane (di chitarra, dei vari sport, di lingue) e la
televisione.
Che cosa è successo?
Perché la città negli ultimi decenni
ha cambiato così profondamente le sue caratteristiche?
In un periodo di forte spinta alla
urbanizzazione e di grande produttività industriale le città hanno
scelto di mettersi al servizio di queste linee di sviluppo. Le
risposte date in questi ultimi decenni non sono legate ad un progetto
complessivo, ad una elaborazione culturale, ad una politica, ma
soprattutto alle spinte speculative da una parte e a quelle
produttive dall’altra. Per un lato la città deve farsi carico
dell’accoglienza di un numero incredibile di nuovi cittadini, che
ne raddoppiano, triplicano e in alcuni casi anche di più il numero.
Dall’altro lato è necessario permettere a questo popolo produttivo
di raggiungere i posti di lavoro: costruire collegamenti; offrire
trasporto pubblico; favorire, con la costruzione delle utilitarie,
l’acquisto dell’auto da parte degli operai; mettere in condizione
gli automobilisti di muoversi liberamente e parcheggiare vicino a
casa e vicino al lavoro. E poi permettere ai lavoratori di lasciare a
qualcuno i bambini e i vecchi, di non farsi diretto carico degli
handicappati.
Se si osservano le modifiche di questi
anni si nota come sempre più le strade e le aree pubbliche delle
città sono diventate luogo esclusivo delle macchine, perdendo
progressivamente la loro funzione di luoghi pubblici. Fino alla
scelta estrema e paradossale: per potersi muovere con sicurezza tutti
i cittadini si muovono in macchina, anche per distanze brevi, anche
per accompagnare i bambini a scuola. A questo punto il pedone
scompare e con lui scompaiono la preoccupazione di tutelare i suoi
territori, i marciapiedi, gli slarghi, le piazze, e le sue esigenze
come la possibilità di attraversare facilmente le strade.
L’obiettivo principale della mobilità
urbana è quello di favorire il traffico automobilistico, di
“fluidificarlo”, di “velocizzarlo”. Le macchine hanno il
motore, ma non si vede mai una strada che si alza per consentire ai
pedoni di proseguire il loro percorso a livello del suolo.
Molte aree usate dagli adulti,
soprattutto dagli anziani e dai bambini, come spazi liberi, sono
diventati parcheggi o stazioni di servizio.
La maggioranza dei cittadini ha
difficoltà a percorrere le strade della città, ad attraversarle, ad
andare da soli a scuola, alla posta, al mercato, a soddisfare
autonomamente ai propri bisogni, ad esercitare un loro preciso
diritto incluso in quello più generale di cittadinanza: quello di
usare gli spazi della città, percorrerli con sicurezza.
La assenza di questi cittadini dalle
strade è una prova eclatante della perdita di democrazia delle aree
urbane.
Un bambino di Granollers (Barcelona)
diceva che la bicicletta è più democratica dell’automobile perché
possono usarla tutti, anche i bambini, mentre per l’auto occorre
una certa età, la patente e tanti soldi.
La condizione dei bambini nella città
Per il bambino la situazione è se
possibile ancora peggiore: tracorre la maggior parte del suo tempo in
luoghi chiusi, dove svolge attività organizzate e controllate dagli
adulti; ha una mobilità autonoma estremamente modesta e quindi non
ha la possibilità di cercarsi degli amici per giocare o per
condividere l'avventura di scoprire luoghi nuovi; non gli viene
consentito di sperimentare rischi proporzionati alla crescita delle
sue capacità.
Il bambino è escluso dalla città, la
sua integrazione si verifica solo in ambienti appositamente pensati
per lui. Questo significa che nelle loro attività di gioco i bambini
non possono assistere alle attività degli adulti e quindi hanno
minori possibilità di acquisire conoscenze e abilità attraverso
l'osservazione e l'imitazione (Germanos, 1995).
Le diverse modalità di appropriazione
degli spazi pubblici del quartiere da parte dei bambini, in
particolare l'accesso agli spazi per il gioco, la valutazione degli
spazi aperti del quartiere e la loro possibilità di muoversi
autonomamente sono influenzati dalla progettazione dell'ambiente
urbano (Giuliani, Alparone e Mayer, 1997).
Il gioco in città. La città storica,
dove non c'erano spazi previsti per i bambini, si offriva al bambino
come un playground, un spazio definito e protetto, ma abbastanza
esteso e ricco da accogliere il gioco dei bambini nel mondo degli
adulti. La città di oggi invece, assomiglia sempre più ad un
insieme di sandbox, spazi recintati di piccole dimensioni. La città
playgrund era intrigante perché varia ed estesa, aveva dei confini
flessibili; l'incontro con l'altro era cercato e non temuto, la
sicurezza era ottenuta grazie ad un continuo processo di
appropriazione dello spazio da parte del bambino. Nella città
sandbox non c'è imprevisto, la percezione del suo spazio è
immediata e conclusa nel momento stesso della sua percezione, la
sicurezza è ottenuta grazie alla netta separazione tra interno ed
esterno (Bozzo, 1995).
Negli ultimi decenni si è
profondamente modificato l’uso degli spazi pubblici da parte dei
bambini: è aumentata l’età in cui è permesso ai bambini di stare
fuori casa senza il controllo di adulti, è diminuita la varietà e
la qualità dei luoghi nei quali possono muoversi, sono aumentate sia
le limitazioni poste dagli adulti, sia le professionalità che
avevano il compito di sorvegliare le attività dei bambini (Gaster,
1991).
Tra lo spazio e le attività ludiche
esiste una relazione complessa. Le strade e le piazze vicine alle
abitazioni, diversamente da quello che si verifica per i giardini
privati, promuovono l’incontro con un numero maggiore di coetanei,
consentono la realizzazione di giochi diversi e permetonoe ai
bambini di acquisire familiarità con l'ambiente che viene percepito
come uno spazio semi-privato (Brougère, 1991). Così come negli
spazi dotati di prati e alberi i giochi creativi sono più frequenti
rispetto ad aree prive di vegetazione (Taylor, A. F., et al., 1998).
La soluzione offerta dalle dalle
comunità locali alla incapacità della città di accogliere il gioco
dei bambini è stata la creazione di spazi specializzati (Marillaud,
1991). Questi spazi, tuttavia, sono una risposta inadeguata perché
spesso sono dotati di strutture standardizzate che implicano una
sorta di codificazione del gioco e favoriscono soprattutto la
dimensione motoria, con una conseguente riduzione dell’espressività
ludica (Danacher, 1991). Per queste caratteristiche, le aree dedicate
al gioco non promuovono la socializzazione fra i bambini,
privilegiando le relazioni tra gli adulti e i bambini (Ader e Jouve,
1991). Qualsiasi tipo di area per il gioco che riduca il ruolo
dell'immaginazione e renda il bambino più passivo, anche se può
sembrare bella, pulita, sicura, non potrà soddisfare le sue esigenze
ludiche (Alexander, 1977). Per offrire una risposta alle esigenze
ludiche dei bambini l’ambiente dovrebbe essere ricco e stimolante
in modo da offrire loro diverse possibilità di interazione e
appropriazione; questo significa dare libero accesso ai diversi spazi
della città (Moore, 1978; Ader e Jouve, 1991)
Percorrere la città. Sessanta anni fa
la mobilità di un bambino all’età della scuola elementare non era
molto differente da quella dei suoi genitori. Oggi la mobilità
dell’adulto è grandemente aumentata, ma parallelamente quella dei
bambini si è ridotta notevolmente, in gran parte per il rischio
introdotto dalle automobili (Parr, 1967).
La diminuzione dell'autonomia del
bambino non riguarda solo la possibilità di compiere ampi
spostamenti nel tessuto urbano. Un numero crescente di bambini è
accompagnato a scuola da un adulto, in genere in automobile. Sempre
meno bambini possono attraversare la strada da soli, recarsi
autonomamente nei luoghi di svago, guidare una bicicletta in spazi
pubblici, ecc. La diminuzione della libertà e della possibilità di
operare scelte autonome ha determinato un rallentamento del processo
di crescita del bambino, a causa della mancanza di apprendimenti sia
delle caratteristiche spaziali dell'ambiente sia di comportamenti
che garantiscono l'indipendenza (Hillman, 1993).
Alcuni elementi del tessuto urbano più
di altri hanno delle ricadute negative sulla mobilità dei bambini.
Gli attraversamenti delle strade sono elementi cruciali nella rete
dei percorsi pedonali. Sono luoghi particolarmente pericolosi e per
questa ragione, rappresentano delle vere barriere cognitive che
impediscono ai bambini di appropriarsi della città (Bonanomi, 1994).
Neil Armstrong, che ha studiato
l'influenza della diminuzione della mobilità autonoma sullo sviluppo
fisico dei bambini, ha evidenziato che il 50% delle ragazze di età
compresa tra i 10 e i 16 anni e il 30% dei ragazzi della stessa età
non vivono esperienze equivalenti ad un percorso di dieci minuti
fatto a piedi.
Lo sviluppo della mobilità autonoma
nei bambini è influenzato non solo dalla reale pericolosità
dell'ambiente ma anche dalla percezione dei rischi nei genitori e nei
bambini stessi. Il concetto di rischio è molto ampio, perché i
timori e le preoccupazioni riguardano non solo il pericolo di
incidenti fisici, ma anche l’inquinamento dell’aria, il rumore,
le limitazioni presenti nell’ambiente esterno per i bambini, la
diminuzione della loro libertà di movimento, la loro separazione da
altri bambini e dagli adulti (Bjorklid, 1994).
La percezione dei rischi è diversa nei
bambini e nei genitori. I genitori, ad esempio, diversamente dai loro
figli, considerano gli incidenti stradali come gli eventi più
probabili e gravi (Lee e Rowe, 1994).
Ma se una città si fa carico delle
esigenze del bambino?
Gli stessi cittadini che hanno chiesto
una mobilità rapida, a totale servizio dell’auto, oggi, anche
grazie al cambiamento culturale promosso dai movimenti ambientalisti,
stanno modificando la domanda. Chiedono maggiore pulizia, minore
occupazione di suolo pubblico, maggiore salute. Gli amministratori
rispondono però a queste domande intervenendo sugli effetti e non
sulle cause del malessere. Si usano asfalti elastici o paratie
antirumore per ridurre l’inquinamento acustico, si costruiscono
enormi parcheggi sotterranei per liberare spazi in superficie, si
fermano periodicamente le macchine o si impongono le marmitte
catalitiche per abbassare gli indici di inquinamento. Ma, almeno nei
nostri paesi mediterranei, non si interviene sul numero di auto,
sulla loro compatibilità con i cittadini che scelgono di muoversi a
piedi o in bicicletta.
Assumendo il bambino come parametro
siamo costretti a tener conto in forma coerente e radicale delle
esigenze dei più piccoli, di tutti coloro che si muovono a piedi.
Una maggioranza anche nella città tecnologica di oggi.
Una città che accetta questa sfida
dovrà essere capace di accogliere l’esigenza di autonomia dei
bambini. Questo significa da un lato che le strade devono diventare
meno pericolose e dall’altro che la comunità sociale si deve fare
carico di quello che succede negli spazi pubblici, perché vengono
riconosciuti come spazi di tutti.
Da un lato interventi strutturali che
mostrino chiaramente che la città ha scelto i cittadini rispetto
alle macchine: marciapiedi larghi e liberi, strade che per la loro
forma, la loro ampiezza o la loro pavimentazione non permettono
velocità pericolose per i pedoni. Ma si può fare di più, i
marciapiedi possono costituire un percorso continuo, senza
interruzioni né per gli accessi carrabili né per gli
attraversamenti. Il marciapiede, la strada dei pedoni, dei bambini,
degli handicappati, non modifica mai il proprio livello; la strada,
dove si muovono mezzi a motore, sale e scende per raccordare i
passaggi pedonali. Queste possono essere alcune regole per la
realizzazione di tutte le strade dei quartieri, delle piccole città
dove la gente vive. Diversa sarà la logica delle strade di
connessione, di larga percorrenza, di rapidi spostamenti. Ma anche in
questi casi potrebbero essere le strade delle macchine che perdono il
proprio livello per sollevarsi o interrarsi per lasciare ai pedoni la
possibilità di mantenere la loro quota.
Se i bambini possono uscire da soli di
casa, debbono disporre di luoghi stimolanti dove andare. Dovranno
essere luoghi veri, belli, interessanti per le varie generazioni e
quindi vissuti e frequentati e per questo sicuri.
Una città che sceglie i bambini e i
pedoni dovrà promuovere la crescita di una sensibilità nuova e
quindi chiedere il rispetto delle poche norme del codice della strada
che difendono questi soggetti. Dovrà per esempio applicare con
rigore la norma che prevede una multa per gli automobilisti che non
rispettano la precedenza dei pedoni nei passaggi pedonali.
“A scuola ci andiamo da soli”
Una proposta operativa, possibile, ma
significativa e complessa, per iniziare il lungo percorso delle città
verso una mobilità più giusta e condivisa è “A scuola ci andiamo
da soli”. Si invitano i bambini delle escuole elementari, dai 6 ai
10 anni, ad andare a scuola a piedi, con i loro compagni, non
accompagnati da adulti. L’esperienza apparentemente è semplice
perché il percorso è breve e si ripete ogni giorno, ma occorre
superare i timori dei genitori, legati al traffico e ad eventuali
pericoli sociali che i loro figli possono incontrare. Per questo
l’esperienza diventa complessa, deve coinvolgere molti protagonisti
e quindi, se alla fine riesce ad avere un esito positivo, porta reali
cambiamenti nella città, molto superiori alla soddisfazione dei
bambini per la piccola autonomia conquistata.
Perché la paura delle famiglie
diminuisca in modo da poter permettere ai figli di uscire da soli,
occorre che le strade non permettano un traffico pericoloso, quindi
sono necessari, da parte degli amministratori interventi strutturali
e sui comportamenti, per rallentare il movimento automobilistico.
Occorre aiutare i genitori a capire che i bambini per crescere in
modo armonico hanno un reale bisogno di maggiore autonomia e di
esperienze proprie.
Si deve poi coinvolgere in maniera
forte la scuola perché adotti l’iniziativa per il suo significato
educativo e pedagogico: come pratica di solidarietà nell’aiuto fra
i più piccoli e più grandi; come proposta di educazione ambientale
attraverso la conoscenza diretta e quotidiana del quartiere,
attraverso le sue trasformazioni climatiche, sociali, strutturali;
come corretta forma di educazione stradale attraverso la pratica
della pedonalità, in alternativa alle assurde proposte di
insegnamento delle norme del codice e dei segnali stradali.
Si deve infine lavorare per costruire
una nuova sensibilità sociale nel quartiere. Per questo si possono
coinvolgere, anche con opportuni interventi formativi, i vigili
urbani, gli anziani e i commercianti del quartiere. Questi ultimi
hanno una caratteristica particolare, vivono sulla strada e i loro
negozi possono costiutire un punto di riferimento e di sicurezza per
un bambino che si trovasse in qualsiasi situazione di necessità. I
commercianti che accettano di diventare dei punti di riferimento per
i bambini mettono a loro disposizione il bagno, il telefono, l’acqua
e comunque un adulto disposto ad ascolatare e ad aiutare.
Quando queste condizioni si realizzano
e si sommano positivamente, il numero dei bambini che vanno da soli
aumenta con piena soddisfazione dei bambini e delle famiglie. Questi
risultati però sono fragili e possono regredire se qualcuna delle
condizioni indicate viene meno e in particolare la preoccupazione
degli amministratori e l’interesse della scuola (Baraldi, 1997).
Conclusioni
Una città che ripensa criticamente le
sue scelte rispetto alla mobilità e per questo si affida ai bambini,
consapevole che questi rappresentano in maniera emblematica le
esigenze di tutti i cittadini più deboli, non è una città legata
ad un passato che non c’è più, ma piuttosto una città che pensa
in forma critica e matura al suo futuro, attraverso scelte di
sviluppo sostenibile (Tonucci, 1996).
Modificare la mobilità di un ambiente
complesso come quello urbano può apparire un’utopia, possibile
solo attraverso la realizzazione di costosissimi cambiamenti delle
caratteristiche fisiche della città. Naturalmente occorrono
cambiamenti strutturali, ma un nuovo tipo di mobilità, più
democratico, è reso possibile e garantito soprattutto
dall’assunzione di nuovi atteggiamenti da parte dei diversi
soggetti sociali.
Una mobilità più autonoma e più
ecologica, che scommette sulla pedonalità e sulla bicicletta, non è
solo un modo semplice ed economico per ritrovare spazi pubblici, per
diminuire sensibilmente l’inquinamento e il rumore, per salvare i
monumenti, ma è anche un importante contributo alla salute
psicofisica dei suoi abitanti. Mettere i cittadini in condizione di
vivere con più autonomia, con maggiori possibilità di muoversi e di
usare la città con il proprio corpo, con meno bisogno di aiuto e di
servizi, significa scegliere una politica del benessere. E di questa
i bambini sono garanti.
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F. Tonucci, (1996) La città dei
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1
Francesco Tonucci - Istituto di Scienze e Tecnologie della
Cognizione del CNR - Responsabile del progetto "La città dei
bambini" - via
U. Aldrovandi, 18 - 00197 Rome, Italy
- <tonucci@nembo.net>
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