venerdì 23 gennaio 2015

LA CITTA' DEI BAMBINI

  
 
 
 
 
LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
 
 
La città fino a poche decine di anni fa era il luogo dell’incontro, dello scambio, del passeggio. Per questo doveva essere, ed era, pur con tutte le contraddizioni e le ingiustizie sociali bella, ricca di monumenti, di sorprese, di prospettive sempre nuove.
In questa città, l’interesse dei cittadini era quello di uscire di casa e di vivere la città, di frequentarne le strade, le piazze e i luoghi di incontro. La casa era un luogo importante ma semplicemente legato alle funzioni primarie, tutta la vita sociale, gli interessi, il divertimento, si collocavano negli spazi pubblici della città.
Oggi sembra tutto completamente rovesciato: apparentemente il desiderio più forte che i cittadini esprimono è quello di rientrare il più presto possibile a casa. La casa è diventata ricca e confortevole, un luogo difeso verso l’esterno, rassicurante e rilassante verso l’interno. La città è diventata ostile, la si vive come pericolo da evitare. Si cerca di passare da un luogo privato (la casa) ad un altro (il luogo di lavoro, la scuola, la palestra, il teatro, ecc.) senza rischiare i tanti effetti di un preoccupante attraversamento e si preferisce utilizzare ancora un mezzo privato come l’automobile. Questa continuità di luoghi privati e la scomparsa dei luoghi pubblici caratterizza in qualche modo una “non città”.
La città risponde così alle esigenze dei cittadini adulti e produttivi, che hanno una forte motivazione ad uscire e i mezzi per farlo. Gli altri cittadini, quelli più deboli o semplicemente meno interessati ai grandi spostamenti, preferiscono non uscire di casa o farlo il meno possibile. Le nostre città sembrano non avere vecchi, handicappati. Nelle strade non si vedono bambini, che dividono il loro tempo fra la scuola, le tante attività pomeridiane (di chitarra, dei vari sport, di lingue) e la televisione.
Tratto da articolo:
LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA
DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
Il bambino come unità di misura
A. Rissotto, F. Tonucci
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR
http://www.lacittadeibambini.org/
 
Testo Completo:
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LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA
DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
Il bambino come unità di misura

A. Rissotto, F. Tonucci1
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR


Introduzione
La città fino a poche decine di anni fa era il luogo dell’incontro, dello scambio, del passeggio. Per questo doveva essere, ed era, pur con tutte le contraddizioni e le ingiustizie sociali bella, ricca di monumenti, di sorprese, di prospettive sempre nuove.
In questa città, l’interesse dei cittadini era quello di uscire di casa e di vivere la città, di frequentarne le strade, le piazze e i luoghi di incontro. La casa era un luogo importante ma semplicemente legato alle funzioni primarie, tutta la vita sociale, gli interessi, il divertimento, si collocavano negli spazi pubblici della città.
Oggi sembra tutto completamente rovesciato: apparentemente il desiderio più forte che i cittadini esprimono è quello di rientrare il più presto possibile a casa. La casa è diventata ricca e confortevole, un luogo difeso verso l’esterno, rassicurante e rilassante verso l’interno. La città è diventata ostile, la si vive come pericolo da evitare. Si cerca di passare da un luogo privato (la casa) ad un altro (il luogo di lavoro, la scuola, la palestra, il teatro, ecc.) senza rischiare i tanti effetti di un preoccupante attraversamento e si preferisce utilizzare ancora un mezzo privato come l’automobile. Questa continuità di luoghi privati e la scomparsa dei luoghi pubblici caratterizza in qualche modo una “non città”.
La città risponde così alle esigenze dei cittadini adulti e produttivi, che hanno una forte motivazione ad uscire e i mezzi per farlo. Gli altri cittadini, quelli più deboli o semplicemente meno interessati ai grandi spostamenti, preferiscono non uscire di casa o farlo il meno possibile. Le nostre città sembrano non avere vecchi, handicappati. Nelle strade non si vedono bambini, che dividono il loro tempo fra la scuola, le tante attività pomeridiane (di chitarra, dei vari sport, di lingue) e la televisione.

Che cosa è successo?
Perché la città negli ultimi decenni ha cambiato così profondamente le sue caratteristiche?
In un periodo di forte spinta alla urbanizzazione e di grande produttività industriale le città hanno scelto di mettersi al servizio di queste linee di sviluppo. Le risposte date in questi ultimi decenni non sono legate ad un progetto complessivo, ad una elaborazione culturale, ad una politica, ma soprattutto alle spinte speculative da una parte e a quelle produttive dall’altra. Per un lato la città deve farsi carico dell’accoglienza di un numero incredibile di nuovi cittadini, che ne raddoppiano, triplicano e in alcuni casi anche di più il numero. Dall’altro lato è necessario permettere a questo popolo produttivo di raggiungere i posti di lavoro: costruire collegamenti; offrire trasporto pubblico; favorire, con la costruzione delle utilitarie, l’acquisto dell’auto da parte degli operai; mettere in condizione gli automobilisti di muoversi liberamente e parcheggiare vicino a casa e vicino al lavoro. E poi permettere ai lavoratori di lasciare a qualcuno i bambini e i vecchi, di non farsi diretto carico degli handicappati.
Se si osservano le modifiche di questi anni si nota come sempre più le strade e le aree pubbliche delle città sono diventate luogo esclusivo delle macchine, perdendo progressivamente la loro funzione di luoghi pubblici. Fino alla scelta estrema e paradossale: per potersi muovere con sicurezza tutti i cittadini si muovono in macchina, anche per distanze brevi, anche per accompagnare i bambini a scuola. A questo punto il pedone scompare e con lui scompaiono la preoccupazione di tutelare i suoi territori, i marciapiedi, gli slarghi, le piazze, e le sue esigenze come la possibilità di attraversare facilmente le strade.
L’obiettivo principale della mobilità urbana è quello di favorire il traffico automobilistico, di “fluidificarlo”, di “velocizzarlo”. Le macchine hanno il motore, ma non si vede mai una strada che si alza per consentire ai pedoni di proseguire il loro percorso a livello del suolo.
Molte aree usate dagli adulti, soprattutto dagli anziani e dai bambini, come spazi liberi, sono diventati parcheggi o stazioni di servizio.
La maggioranza dei cittadini ha difficoltà a percorrere le strade della città, ad attraversarle, ad andare da soli a scuola, alla posta, al mercato, a soddisfare autonomamente ai propri bisogni, ad esercitare un loro preciso diritto incluso in quello più generale di cittadinanza: quello di usare gli spazi della città, percorrerli con sicurezza.
La assenza di questi cittadini dalle strade è una prova eclatante della perdita di democrazia delle aree urbane.
Un bambino di Granollers (Barcelona) diceva che la bicicletta è più democratica dell’automobile perché possono usarla tutti, anche i bambini, mentre per l’auto occorre una certa età, la patente e tanti soldi.

La condizione dei bambini nella città
Per il bambino la situazione è se possibile ancora peggiore: tracorre la maggior parte del suo tempo in luoghi chiusi, dove svolge attività organizzate e controllate dagli adulti; ha una mobilità autonoma estremamente modesta e quindi non ha la possibilità di cercarsi degli amici per giocare o per condividere l'avventura di scoprire luoghi nuovi; non gli viene consentito di sperimentare rischi proporzionati alla crescita delle sue capacità.
Il bambino è escluso dalla città, la sua integrazione si verifica solo in ambienti appositamente pensati per lui. Questo significa che nelle loro attività di gioco i bambini non possono assistere alle attività degli adulti e quindi hanno minori possibilità di acquisire conoscenze e abilità attraverso l'osservazione e l'imitazione (Germanos, 1995).
Le diverse modalità di appropriazione degli spazi pubblici del quartiere da parte dei bambini, in particolare l'accesso agli spazi per il gioco, la valutazione degli spazi aperti del quartiere e la loro possibilità di muoversi autonomamente sono influenzati dalla progettazione dell'ambiente urbano (Giuliani, Alparone e Mayer, 1997).

Il gioco in città. La città storica, dove non c'erano spazi previsti per i bambini, si offriva al bambino come un playground, un spazio definito e protetto, ma abbastanza esteso e ricco da accogliere il gioco dei bambini nel mondo degli adulti. La città di oggi invece, assomiglia sempre più ad un insieme di sandbox, spazi recintati di piccole dimensioni. La città playgrund era intrigante perché varia ed estesa, aveva dei confini flessibili; l'incontro con l'altro era cercato e non temuto, la sicurezza era ottenuta grazie ad un continuo processo di appropriazione dello spazio da parte del bambino. Nella città sandbox non c'è imprevisto, la percezione del suo spazio è immediata e conclusa nel momento stesso della sua percezione, la sicurezza è ottenuta grazie alla netta separazione tra interno ed esterno (Bozzo, 1995).
Negli ultimi decenni si è profondamente modificato l’uso degli spazi pubblici da parte dei bambini: è aumentata l’età in cui è permesso ai bambini di stare fuori casa senza il controllo di adulti, è diminuita la varietà e la qualità dei luoghi nei quali possono muoversi, sono aumentate sia le limitazioni poste dagli adulti, sia le professionalità che avevano il compito di sorvegliare le attività dei bambini (Gaster, 1991).
Tra lo spazio e le attività ludiche esiste una relazione complessa. Le strade e le piazze vicine alle abitazioni, diversamente da quello che si verifica per i giardini privati, promuovono l’incontro con un numero maggiore di coetanei, consentono la realizzazione di giochi diversi e permetonoe ai bambini di acquisire familiarità con l'ambiente che viene percepito come uno spazio semi-privato (Brougère, 1991). Così come negli spazi dotati di prati e alberi i giochi creativi sono più frequenti rispetto ad aree prive di vegetazione (Taylor, A. F., et al., 1998).
La soluzione offerta dalle dalle comunità locali alla incapacità della città di accogliere il gioco dei bambini è stata la creazione di spazi specializzati (Marillaud, 1991). Questi spazi, tuttavia, sono una risposta inadeguata perché spesso sono dotati di strutture standardizzate che implicano una sorta di codificazione del gioco e favoriscono soprattutto la dimensione motoria, con una conseguente riduzione dell’espressività ludica (Danacher, 1991). Per queste caratteristiche, le aree dedicate al gioco non promuovono la socializzazione fra i bambini, privilegiando le relazioni tra gli adulti e i bambini (Ader e Jouve, 1991). Qualsiasi tipo di area per il gioco che riduca il ruolo dell'immaginazione e renda il bambino più passivo, anche se può sembrare bella, pulita, sicura, non potrà soddisfare le sue esigenze ludiche (Alexander, 1977). Per offrire una risposta alle esigenze ludiche dei bambini l’ambiente dovrebbe essere ricco e stimolante in modo da offrire loro diverse possibilità di interazione e appropriazione; questo significa dare libero accesso ai diversi spazi della città (Moore, 1978; Ader e Jouve, 1991)

Percorrere la città. Sessanta anni fa la mobilità di un bambino all’età della scuola elementare non era molto differente da quella dei suoi genitori. Oggi la mobilità dell’adulto è grandemente aumentata, ma parallelamente quella dei bambini si è ridotta notevolmente, in gran parte per il rischio introdotto dalle automobili (Parr, 1967).
La diminuzione dell'autonomia del bambino non riguarda solo la possibilità di compiere ampi spostamenti nel tessuto urbano. Un numero crescente di bambini è accompagnato a scuola da un adulto, in genere in automobile. Sempre meno bambini possono attraversare la strada da soli, recarsi autonomamente nei luoghi di svago, guidare una bicicletta in spazi pubblici, ecc. La diminuzione della libertà e della possibilità di operare scelte autonome ha determinato un rallentamento del processo di crescita del bambino, a causa della mancanza di apprendimenti sia delle caratteristiche spaziali dell'ambiente sia di comportamenti che garantiscono l'indipendenza (Hillman, 1993).
Alcuni elementi del tessuto urbano più di altri hanno delle ricadute negative sulla mobilità dei bambini. Gli attraversamenti delle strade sono elementi cruciali nella rete dei percorsi pedonali. Sono luoghi particolarmente pericolosi e per questa ragione, rappresentano delle vere barriere cognitive che impediscono ai bambini di appropriarsi della città (Bonanomi, 1994).
Neil Armstrong, che ha studiato l'influenza della diminuzione della mobilità autonoma sullo sviluppo fisico dei bambini, ha evidenziato che il 50% delle ragazze di età compresa tra i 10 e i 16 anni e il 30% dei ragazzi della stessa età non vivono esperienze equivalenti ad un percorso di dieci minuti fatto a piedi.
Lo sviluppo della mobilità autonoma nei bambini è influenzato non solo dalla reale pericolosità dell'ambiente ma anche dalla percezione dei rischi nei genitori e nei bambini stessi. Il concetto di rischio è molto ampio, perché i timori e le preoccupazioni riguardano non solo il pericolo di incidenti fisici, ma anche l’inquinamento dell’aria, il rumore, le limitazioni presenti nell’ambiente esterno per i bambini, la diminuzione della loro libertà di movimento, la loro separazione da altri bambini e dagli adulti (Bjorklid, 1994).
La percezione dei rischi è diversa nei bambini e nei genitori. I genitori, ad esempio, diversamente dai loro figli, considerano gli incidenti stradali come gli eventi più probabili e gravi (Lee e Rowe, 1994).

Ma se una città si fa carico delle esigenze del bambino?
Gli stessi cittadini che hanno chiesto una mobilità rapida, a totale servizio dell’auto, oggi, anche grazie al cambiamento culturale promosso dai movimenti ambientalisti, stanno modificando la domanda. Chiedono maggiore pulizia, minore occupazione di suolo pubblico, maggiore salute. Gli amministratori rispondono però a queste domande intervenendo sugli effetti e non sulle cause del malessere. Si usano asfalti elastici o paratie antirumore per ridurre l’inquinamento acustico, si costruiscono enormi parcheggi sotterranei per liberare spazi in superficie, si fermano periodicamente le macchine o si impongono le marmitte catalitiche per abbassare gli indici di inquinamento. Ma, almeno nei nostri paesi mediterranei, non si interviene sul numero di auto, sulla loro compatibilità con i cittadini che scelgono di muoversi a piedi o in bicicletta.

Assumendo il bambino come parametro siamo costretti a tener conto in forma coerente e radicale delle esigenze dei più piccoli, di tutti coloro che si muovono a piedi. Una maggioranza anche nella città tecnologica di oggi.
Una città che accetta questa sfida dovrà essere capace di accogliere l’esigenza di autonomia dei bambini. Questo significa da un lato che le strade devono diventare meno pericolose e dall’altro che la comunità sociale si deve fare carico di quello che succede negli spazi pubblici, perché vengono riconosciuti come spazi di tutti.
Da un lato interventi strutturali che mostrino chiaramente che la città ha scelto i cittadini rispetto alle macchine: marciapiedi larghi e liberi, strade che per la loro forma, la loro ampiezza o la loro pavimentazione non permettono velocità pericolose per i pedoni. Ma si può fare di più, i marciapiedi possono costituire un percorso continuo, senza interruzioni né per gli accessi carrabili né per gli attraversamenti. Il marciapiede, la strada dei pedoni, dei bambini, degli handicappati, non modifica mai il proprio livello; la strada, dove si muovono mezzi a motore, sale e scende per raccordare i passaggi pedonali. Queste possono essere alcune regole per la realizzazione di tutte le strade dei quartieri, delle piccole città dove la gente vive. Diversa sarà la logica delle strade di connessione, di larga percorrenza, di rapidi spostamenti. Ma anche in questi casi potrebbero essere le strade delle macchine che perdono il proprio livello per sollevarsi o interrarsi per lasciare ai pedoni la possibilità di mantenere la loro quota.
Se i bambini possono uscire da soli di casa, debbono disporre di luoghi stimolanti dove andare. Dovranno essere luoghi veri, belli, interessanti per le varie generazioni e quindi vissuti e frequentati e per questo sicuri.
Una città che sceglie i bambini e i pedoni dovrà promuovere la crescita di una sensibilità nuova e quindi chiedere il rispetto delle poche norme del codice della strada che difendono questi soggetti. Dovrà per esempio applicare con rigore la norma che prevede una multa per gli automobilisti che non rispettano la precedenza dei pedoni nei passaggi pedonali.

“A scuola ci andiamo da soli”
Una proposta operativa, possibile, ma significativa e complessa, per iniziare il lungo percorso delle città verso una mobilità più giusta e condivisa è “A scuola ci andiamo da soli”. Si invitano i bambini delle escuole elementari, dai 6 ai 10 anni, ad andare a scuola a piedi, con i loro compagni, non accompagnati da adulti. L’esperienza apparentemente è semplice perché il percorso è breve e si ripete ogni giorno, ma occorre superare i timori dei genitori, legati al traffico e ad eventuali pericoli sociali che i loro figli possono incontrare. Per questo l’esperienza diventa complessa, deve coinvolgere molti protagonisti e quindi, se alla fine riesce ad avere un esito positivo, porta reali cambiamenti nella città, molto superiori alla soddisfazione dei bambini per la piccola autonomia conquistata.
Perché la paura delle famiglie diminuisca in modo da poter permettere ai figli di uscire da soli, occorre che le strade non permettano un traffico pericoloso, quindi sono necessari, da parte degli amministratori interventi strutturali e sui comportamenti, per rallentare il movimento automobilistico. Occorre aiutare i genitori a capire che i bambini per crescere in modo armonico hanno un reale bisogno di maggiore autonomia e di esperienze proprie.
Si deve poi coinvolgere in maniera forte la scuola perché adotti l’iniziativa per il suo significato educativo e pedagogico: come pratica di solidarietà nell’aiuto fra i più piccoli e più grandi; come proposta di educazione ambientale attraverso la conoscenza diretta e quotidiana del quartiere, attraverso le sue trasformazioni climatiche, sociali, strutturali; come corretta forma di educazione stradale attraverso la pratica della pedonalità, in alternativa alle assurde proposte di insegnamento delle norme del codice e dei segnali stradali.
Si deve infine lavorare per costruire una nuova sensibilità sociale nel quartiere. Per questo si possono coinvolgere, anche con opportuni interventi formativi, i vigili urbani, gli anziani e i commercianti del quartiere. Questi ultimi hanno una caratteristica particolare, vivono sulla strada e i loro negozi possono costiutire un punto di riferimento e di sicurezza per un bambino che si trovasse in qualsiasi situazione di necessità. I commercianti che accettano di diventare dei punti di riferimento per i bambini mettono a loro disposizione il bagno, il telefono, l’acqua e comunque un adulto disposto ad ascolatare e ad aiutare.
Quando queste condizioni si realizzano e si sommano positivamente, il numero dei bambini che vanno da soli aumenta con piena soddisfazione dei bambini e delle famiglie. Questi risultati però sono fragili e possono regredire se qualcuna delle condizioni indicate viene meno e in particolare la preoccupazione degli amministratori e l’interesse della scuola (Baraldi, 1997).

Conclusioni
Una città che ripensa criticamente le sue scelte rispetto alla mobilità e per questo si affida ai bambini, consapevole che questi rappresentano in maniera emblematica le esigenze di tutti i cittadini più deboli, non è una città legata ad un passato che non c’è più, ma piuttosto una città che pensa in forma critica e matura al suo futuro, attraverso scelte di sviluppo sostenibile (Tonucci, 1996).
Modificare la mobilità di un ambiente complesso come quello urbano può apparire un’utopia, possibile solo attraverso la realizzazione di costosissimi cambiamenti delle caratteristiche fisiche della città. Naturalmente occorrono cambiamenti strutturali, ma un nuovo tipo di mobilità, più democratico, è reso possibile e garantito soprattutto dall’assunzione di nuovi atteggiamenti da parte dei diversi soggetti sociali.
Una mobilità più autonoma e più ecologica, che scommette sulla pedonalità e sulla bicicletta, non è solo un modo semplice ed economico per ritrovare spazi pubblici, per diminuire sensibilmente l’inquinamento e il rumore, per salvare i monumenti, ma è anche un importante contributo alla salute psicofisica dei suoi abitanti. Mettere i cittadini in condizione di vivere con più autonomia, con maggiori possibilità di muoversi e di usare la città con il proprio corpo, con meno bisogno di aiuto e di servizi, significa scegliere una politica del benessere. E di questa i bambini sono garanti.


Bibliografia

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F. Tonucci, (1996) La città dei bambini, Laterza, Bari.


1 Francesco Tonucci - Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR - Responsabile del progetto "La città dei bambini" - via U. Aldrovandi, 18 - 00197 Rome, Italy - <tonucci@nembo.net>





 

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