di Raffaele Basile e Luca Madiai
Filosofia del camminare*
Motivi per camminare? Possono essercene tanti, nella vita di tutti i giorni: l’auto guasta, lo sciopero dei mezzi pubblici, lo scooter
prestato all’amico. Qualche “contrattempo” può sempre capitare e
allora, sbuffando e talvolta recriminando, dei passi a piedi più del
previsto si possono anche fare. Molti la pensano in questo modo, c’è
poco da fare. Camminare oltre la dose minima cui si è abituati o farlo
al di fuori dei momenti di puro svago, è visto da parecchie persone come
una iattura, un ripiego fastidioso, se paragonato ai comodi e poco
faticosi mezzi meccanici di locomozione. Un’eccezione che fa rimpiangere
la regola. Un’occasione per imprecare contro meccanici ritardatari e
maestranze sabotatrici della riposante routine della mobilità su gomma e
rotaie. La maggior parte degli occidentali è portata a catalogare il
muoversi a piedi tra le perdite di tempo. Nell’Occidente economicamente
evoluto, l’atto del camminare abitualmente è divenuto una scelta
consapevole e anticonvenzionale, quasi una stravaganza, uno snobismo. Chi si sposta a piedi nel quotidiano rinuncia alla fretta,
è come se prendesse le distanze dalla produttività e per certi versi
dalla stessa modernità. Tale mancanza di omologazione ai ritmi
standardizzati del quotidiano, fa del camminatore abituale un essere
atipico, da inquadrare con un po’ di apprensione per questo risvolto
della personalità che lo rende meno socialmente controllabile e
prevedibile.
Tempo fa, sono rimasto colpito da un cartello vicino a un ristorante
su una strada tortuosa e con divieto di sosta su entrambi i lati. Il
cartello rassicurava provvidenzialmente i potenziali avventori sul fatto
che fosse loro offerto un servizio di autorimessa a titolo gratuito a
soli duecento metri di distanza. Ma non era l’unica invitante
“promessa”. A disposizione degli avventori c’era anche un puntuale
servizio di ”navetta” dal garage al ristorante. Il buon ristoratore
intuiva evidentemente che – per molti degli avventori – la sola idea di
farsi qualche decina di passi a piedi come antipasto e digestivo del
pranzetto sarebbe stata un potenziale dissuasore dal fermarsi presso la
sua amena trattoria. Molto probabile che la concorrenza dotata di un
bello spiazzo – dove parcheggiare l’auto a fianco dell’ingresso –
l’avrebbe avuta vinta. Ecco allora l’indovinata idea imprenditoriale del
servizio navetta per colmare la stratosferica distanza di 200 metri a
piedi. Un tipico esempio delle distorsioni che può procurare la
“crescita” incondizionata dell’economia.
Camminare non è quasi mai considerato un gratificante premio per la
mente e il corpo. E’ piuttosto visto come una faticosa punizione per
poveracci o per persone stravaganti. A partire dalla rivoluzione
industriale, nei Paesi cosiddetti “sviluppati” l’atto del camminare ha
perso le caratteristiche di ordinarietà a favore dell’eccezionalità.
Eppure, pochi potrebbero negare che il cammino sia uno dei sistemi più
efficaci per armonizzare mente, corpo e realtà circostante. In effetti,
pochi arrivano a negarlo, ma pochissimi passano poi dalla teoria alla
pratica. Tempo fa fu condotto un significativo esperimento sulla percezione del camminare. Si provò a chiedere on the road
informazioni su come raggiungere una strada del centro di Milano, in
una zona ben servita dai trasporti. La meta distava solo 500 metri dal
luogo della richiesta d’informazioni stradali. Nonostante ciò, ben più
di due terzi degli interpellati diedero dettagli su come arrivarci
attraverso l’utilizzo combinato di metropolitana, tram, autobus. Solo
pochi “perversi” spiegarono come giungerci nella maniera più semplice e
naturale: a piedi.
Eppure per millenni compiere una serie di passi conservando il
contatto col terreno con almeno un piede (questa è la definizione del
camminare) è stata un’azione pratica sulla quale non ci s’interrogava
più di tanto, un elemento fisiologico dell’essere umano.
Progressivamente al camminare sono stati abbinati significati culturali
che difficilmente sarebbero venuti in mente ai nostri avi, i quali
inglobavano i passi giornalieri nelle attività date per scontate quasi come bere e respirare.
I comportamenti della società contemporanea hanno imboccato poco alla
volta “sentieri” tortuosi e incerti al posto di vie lineari e ben
segnalate. Così anche camminare, è divenuto per molti qualcosa di poco
naturale. Tutto ciò è un vero paradosso. Considerare più ovvio prendere
l’auto per percorrere un chilometro di strada, quando si abbia una
salute accettabile, è decisamente innaturale. Fatto sta che in termini
percentuali non camminare rimane la scelta predominante sia in contesti
urbani sia extraurbani.
Lo sviluppo patologico di alcuni aspetti della tecnologia e la
motorizzazione degli spostamenti vista come scelta principale per la
maggior parte delle persone, hanno condotto a una visione del camminare
per più di duecento metri quale scelta originale, in controtendenza, al
limite della stravaganza. Una scelta da giustificare di fronte agli
altri e forse anche a se stessi, nonostante si tratti di un’azione
ovvia, sulla quale sono calibrati organi e organismo umano. Chi cammina,
pur non aspirando sempre ad arrivare “presto”, spesso nei centri urbani
impiega meno tempo di chi si muove motorizzato. Tranne casi sfortunati
di chi sia afflitto da patologie invalidanti, la stragrande maggioranza
delle persone potrebbe tranquillamente camminare per quattro-cinque
chilometri al giorno senza particolari difficoltà, a medie di tutto
riposo di due-tre chilometri l’ora. E invece, già l’ascoltare “dista un
chilometro a piedi” è qualcosa che procura brividi e orticaria alla
maggior parte delle persone. Ci si sente spesso più rassicurati da un “è lontano un quarto d’ora d’auto”,
anche se magari la zona da raggiungere dista solo trecento metri e il
quarto d’ora di tragitto lo fa il feroce traffico cittadino.
Fino a cent’anni fa, o anche meno, muoversi a piedi era un’esperienza
ordinaria e abituale. “Vedo degli uomini come alberi che camminano”, si
può leggere nel Vangelo. Una frase che sottolinea anche la stretta
connessione tra natura e uomo che è divenuta sempre più latitante. Ora
si è quasi persa la percezione del camminare inteso come uno dei sistemi più efficaci per conoscere se stessi e gli altri.
Uno strumento a disposizione di quasi tutti per porre armonia tra
mente, corpo e realtà circostante. La meta è importante, certo, e di
traguardi l’uomo contemporaneo se ne pone tanti. Il ”mezzo” per
raggiungere i traguardi è però forse ancora più importante. Camminare può essere mezzo ma anche obiettivo finale
e quindi meta. Muovere i propri passi per spostarsi nello spazio è
inoltre un comportamento che – fatto con lo spirito e la predisposizione
giusti – sa procurare benefici a chi lo pone in essere, senza
penalizzare la realtà circostante. Camminare sistematicamente pone,
infatti, le basi per realizzare stili di vita benefici sia per il
microcosmo personale sia per quello che solo apparentemente ci riguarda
solo in via indiretta, vale a dire il “circostante”, ovvero l’ecosistema
in cui viviamo. Il ritmo del passo e quello del pensiero si nutrono vicendevolmente. […]
Secondo la scrittrice Rebecca
Solnit, l’atto del camminare è un particolare stato in cui la mente, il
corpo e il mondo sono allineati come se fossero tre distinti personaggi
che riescono a capirsi e dialogare tra loro come accade di rado.
Naturalmente, non avrebbe molto senso far diventare il cammino un gesto
isolato, circoscritto al puro svago o alla performance occasionale. I
benefici del camminare possono essere consistenti a patto che esso
diventi l’”Opzione n°1” per i propri spostamenti. Il che non significa
certo divenire degli integralisti dei due piedi in movimento. Bandire
auto, treni, autobus, scooter, scale mobili dalla propria vita non
sarebbe un atto sensato. Semplicemente, occorre pensare a se stessi come
ad esseri in grado di spostarsi a piedi quando ce ne siano le
condizioni, non rinunciando in altri contesti ai vantaggi che le moderne protesi tecnologiche ci possono offrire.
Andare a un appuntamento in centro, recarsi a fare la spesa quando
non sia troppo consistente, portarsi sul posto di lavoro, può il più
delle volte essere fatto “a piedi”, senza riservare questi ultimi solo a
scarpinate su sentieri di montagna o a sudati percorsi di jogging.
“Il camminare di cui parlo non ha nulla a che vedere con l’esercizio
fisico propriamente detto, simile alle medicine che il malato trangugia a
ore fisse, o al far roteare manubri o altri attrezzi; è invece
l’impresa stessa, l’avventura della giornata.
Se volete fare esercizio andate in cerca delle sorgenti della vita.
Com’è possibile far roteare dei manubri per tenersi in salute, mentre
quelle sorgenti sgorgano, inesplorate, in pascoli lontani!”. Con queste
parole Henry David Thoreau, scrittore americano, già due secoli fa dava
un’idea di come il cammino fatto con un certo spirito potesse essere più
gratificante di andare in palestra o giungere in una località
comodamente scarrozzati da un’auto o un treno. […]
Tempo
Userei tanto volentieri la bicicletta ma … impiego troppo tempo, e tempo non ne ho mai
Senza dubbio la bicicletta non è il mezzo più veloce, a confronto con
i mezzi motorizzati, ma in ambito urbano per distanze dell’ordine dei
chilometri può diventare assolutamente competitivo, e in molti casi è
senza dubbio il mezzo che permette di raggiungere la destinazione nel
minor tempo possibile. È vero le auto e i motorini possono raggiungere
velocità di due, tre, quattro volte superiori a una bicicletta, ma a fin
dei conti la velocità media è quella che conta, e se è vero che le auto
ci superano nei viali sgombri, noi li recuperiamo pedalando agli
ingorghi, e seguendo piste ciclabili, parchi e zone pedonali, possiamo
ottenere buoni vantaggi. Provare per credere.
Fino a 5-10 chilometri in
pianura la bicicletta è senza dubbio il miglior mezzo di trasporto per
le zone ad alta densità di popolazione. La bicicletta
non crea blocchi di traffico, può viaggiare anche in zone esclusivamente
riservate ai pedoni se condotta a mano, può raggiungere zone verdi e
centri storici, può essere parcheggiata in pochi secondi.
Se infatti consideriamo gli
ingorghi di traffico e l’individuazione di un posto per parcheggiare,
l’automobile in città diventa tra i mezzi più lenti e inaffidabili.
Di fatto i mezzi pubblici promiscui e le auto dipendono dalle
condizioni del traffico e non possono garantire tempi di percorrenza
certi; la bicicletta invece potendo viaggiare su corsie preferenziali e
su aree pedonali è del tutto indipendente dalla situazione del traffico e
conduce a destinazione sempre nello stesso tempo, permettendo di
potersi organizzare al meglio e non mancare i propri appuntamenti.
Per le distanze elevate, superiori ai dieci chilometri, i tempi di
percorrenza possono essere troppo eccessivi per degli spostamenti
quotidiani: si può infatti andare oltre un’ora di viaggio (mediamente
per fare 5 km in città si impiegano 20 minuti). In tal caso, si può
optare per altri mezzi, oppure se non vogliamo abbandonare la nostra
fidata bici, possiamo utilizzare i mezzi pubblici che permettono il
trasporto anche delle biciclette (vedremo nel paragrafo dedicato altri
dettagli).
Perciò non usare la bicicletta perché “ci vuole troppo tempo” è un
alibi che spesso non si regge in piedi, specie se ci spostiamo in ambito
urbano.
Clima
Userei tanto volentieri la bicicletta ma … con la pioggia e il freddo non ce la faccio, e il caldo poi!
È vero che è da incoscienti andare in bicicletta in condizioni meteo
estreme, ma considerare condizioni estreme qualsiasi scostamento dai 25
gradi centigradi e cielo senza nuvole è altrettanto da sconsiderati.
Spesso ci rifugiamo nella giustificazione di un clima troppo freddo o
troppo caldo, oppure di una sparuta minaccia di pioggia per
autocompiacersi e mettersi la coscienza a posto, ogni volta che siamo
tentati di cambiare rotta e invece per pigrizia torniamo alle solite
scelte di sempre.
La questione del clima come ostacolo insormontabile all’uso
quotidiano della bicicletta non regge molto, basti pensare che nel nord
Europa, in paesi come l’Olanda, la
Danimarca, la Germania, la bicicletta è normalmente utilizzata
nonostante le condizioni meteorologiche siano ben più avverse (inverni più rigidi, piogge e nevicate più frequenti, minor ore di luce) che nel nostro paese, il paese del sole.
Con un po’ di accortezze e qualche espediente è possibile pedalare
comodamente dai -5°C ai 35 °C senza disagi o inconvenienti. Provare per
credere. Vedremo in dettaglio qualche consiglio pratico nei paragrafi
seguenti. […]
Condividere la mobilità
Oggi siamo abituati a pensare in termini individualistici un po’ per
tutti gli ambiti della nostra vita, e ciò vale anche per la nostra
necessità di spostarci. D’altronde è anche vero che una nuova cultura, un nuovo modo di concepire l’economia e la vita si sta facendo spazio, silenziosamente: una cultura basata sulla condivisione, sullo scambio reciproco, sul dono e sulla fiducia tra esseri umani.
Questa nuova cultura si manifesterà, o si sta già manifestando, anche nella mobilità. L’intermodalità
dei trasporti, ovvero l’utilizzo razionale e combinato di più mezzi di
trasporto, assieme alla condivisione (in inglese sharing)
organizzata o libera dei mezzi cambieranno volto al nostro modo di
spostarci e contribuiranno in ultima analisi a cambiare la società
intera. In particolare, la bicicletta si presta
ottimamente a integrarsi con altri mezzi di trasporto pubblici, per
poter coprire il cosiddetto “ultimo chilometro”, non raggiungibile dai
mezzi collettivi.
A monte di tale concezione della mobilità, basata sull’integrazione
dei mezzi, è indispensabile in ogni caso una progettazione oculata e
lungimirante. In questo capitolo approfondiremo i nuovi sistemi di
mobilità basati sulla condivisione che si stanno facendo pian piano
strada anche nel nostro paese: il car sharing, il bike sharing, il car pooling e il ride sharing. Vediamoli uno per uno. […]
L’articolo di questa pagina raccoglie due brani tratti da “Andare a piedi e in bicicletta” (edito da Area 51 Publishingdi) Raffaele Basile e Luca Madiai. Il libro guarda alla parola crisi nel sul significato più profondo, “discernimento, valutazione, separazione, scelta“. “Vogliamo focalizzarci quindi su quello che noi come singoli individui, che necessitano di spostarsi tutti i giorni - scrivono gli autori -
per recarsi nei luoghi delle proprie attività, o anche solo per svago,
possiamo fare per alleggerire o azzerare il nostro impatto ambientale,
risparmiare tempo e denaro e fare nuove esperienze di socialità e di
riscoperta del profondo, del semplice e dell’interconnessione con la
natura”. La struttura del testo è divisa in tre parti: la prima dedicata
al camminare, la seconda alla bicicletta, le terza alle nuove frontiere
della mobilità che si basano sulla sharing economy, ovvero l’economia di condivisione.