venerdì 23 gennaio 2015

LA CITTA' DEI BAMBINI

  
 
 
 
 
LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
 
 
La città fino a poche decine di anni fa era il luogo dell’incontro, dello scambio, del passeggio. Per questo doveva essere, ed era, pur con tutte le contraddizioni e le ingiustizie sociali bella, ricca di monumenti, di sorprese, di prospettive sempre nuove.
In questa città, l’interesse dei cittadini era quello di uscire di casa e di vivere la città, di frequentarne le strade, le piazze e i luoghi di incontro. La casa era un luogo importante ma semplicemente legato alle funzioni primarie, tutta la vita sociale, gli interessi, il divertimento, si collocavano negli spazi pubblici della città.
Oggi sembra tutto completamente rovesciato: apparentemente il desiderio più forte che i cittadini esprimono è quello di rientrare il più presto possibile a casa. La casa è diventata ricca e confortevole, un luogo difeso verso l’esterno, rassicurante e rilassante verso l’interno. La città è diventata ostile, la si vive come pericolo da evitare. Si cerca di passare da un luogo privato (la casa) ad un altro (il luogo di lavoro, la scuola, la palestra, il teatro, ecc.) senza rischiare i tanti effetti di un preoccupante attraversamento e si preferisce utilizzare ancora un mezzo privato come l’automobile. Questa continuità di luoghi privati e la scomparsa dei luoghi pubblici caratterizza in qualche modo una “non città”.
La città risponde così alle esigenze dei cittadini adulti e produttivi, che hanno una forte motivazione ad uscire e i mezzi per farlo. Gli altri cittadini, quelli più deboli o semplicemente meno interessati ai grandi spostamenti, preferiscono non uscire di casa o farlo il meno possibile. Le nostre città sembrano non avere vecchi, handicappati. Nelle strade non si vedono bambini, che dividono il loro tempo fra la scuola, le tante attività pomeridiane (di chitarra, dei vari sport, di lingue) e la televisione.
Tratto da articolo:
LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA
DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
Il bambino come unità di misura
A. Rissotto, F. Tonucci
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR
http://www.lacittadeibambini.org/
 
Testo Completo:
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LA MOBILITÀ URBANA COME MISURA
DELLA DEMOCRAZIA DELLA CITTÀ
Il bambino come unità di misura

A. Rissotto, F. Tonucci1
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR


Introduzione
La città fino a poche decine di anni fa era il luogo dell’incontro, dello scambio, del passeggio. Per questo doveva essere, ed era, pur con tutte le contraddizioni e le ingiustizie sociali bella, ricca di monumenti, di sorprese, di prospettive sempre nuove.
In questa città, l’interesse dei cittadini era quello di uscire di casa e di vivere la città, di frequentarne le strade, le piazze e i luoghi di incontro. La casa era un luogo importante ma semplicemente legato alle funzioni primarie, tutta la vita sociale, gli interessi, il divertimento, si collocavano negli spazi pubblici della città.
Oggi sembra tutto completamente rovesciato: apparentemente il desiderio più forte che i cittadini esprimono è quello di rientrare il più presto possibile a casa. La casa è diventata ricca e confortevole, un luogo difeso verso l’esterno, rassicurante e rilassante verso l’interno. La città è diventata ostile, la si vive come pericolo da evitare. Si cerca di passare da un luogo privato (la casa) ad un altro (il luogo di lavoro, la scuola, la palestra, il teatro, ecc.) senza rischiare i tanti effetti di un preoccupante attraversamento e si preferisce utilizzare ancora un mezzo privato come l’automobile. Questa continuità di luoghi privati e la scomparsa dei luoghi pubblici caratterizza in qualche modo una “non città”.
La città risponde così alle esigenze dei cittadini adulti e produttivi, che hanno una forte motivazione ad uscire e i mezzi per farlo. Gli altri cittadini, quelli più deboli o semplicemente meno interessati ai grandi spostamenti, preferiscono non uscire di casa o farlo il meno possibile. Le nostre città sembrano non avere vecchi, handicappati. Nelle strade non si vedono bambini, che dividono il loro tempo fra la scuola, le tante attività pomeridiane (di chitarra, dei vari sport, di lingue) e la televisione.

Che cosa è successo?
Perché la città negli ultimi decenni ha cambiato così profondamente le sue caratteristiche?
In un periodo di forte spinta alla urbanizzazione e di grande produttività industriale le città hanno scelto di mettersi al servizio di queste linee di sviluppo. Le risposte date in questi ultimi decenni non sono legate ad un progetto complessivo, ad una elaborazione culturale, ad una politica, ma soprattutto alle spinte speculative da una parte e a quelle produttive dall’altra. Per un lato la città deve farsi carico dell’accoglienza di un numero incredibile di nuovi cittadini, che ne raddoppiano, triplicano e in alcuni casi anche di più il numero. Dall’altro lato è necessario permettere a questo popolo produttivo di raggiungere i posti di lavoro: costruire collegamenti; offrire trasporto pubblico; favorire, con la costruzione delle utilitarie, l’acquisto dell’auto da parte degli operai; mettere in condizione gli automobilisti di muoversi liberamente e parcheggiare vicino a casa e vicino al lavoro. E poi permettere ai lavoratori di lasciare a qualcuno i bambini e i vecchi, di non farsi diretto carico degli handicappati.
Se si osservano le modifiche di questi anni si nota come sempre più le strade e le aree pubbliche delle città sono diventate luogo esclusivo delle macchine, perdendo progressivamente la loro funzione di luoghi pubblici. Fino alla scelta estrema e paradossale: per potersi muovere con sicurezza tutti i cittadini si muovono in macchina, anche per distanze brevi, anche per accompagnare i bambini a scuola. A questo punto il pedone scompare e con lui scompaiono la preoccupazione di tutelare i suoi territori, i marciapiedi, gli slarghi, le piazze, e le sue esigenze come la possibilità di attraversare facilmente le strade.
L’obiettivo principale della mobilità urbana è quello di favorire il traffico automobilistico, di “fluidificarlo”, di “velocizzarlo”. Le macchine hanno il motore, ma non si vede mai una strada che si alza per consentire ai pedoni di proseguire il loro percorso a livello del suolo.
Molte aree usate dagli adulti, soprattutto dagli anziani e dai bambini, come spazi liberi, sono diventati parcheggi o stazioni di servizio.
La maggioranza dei cittadini ha difficoltà a percorrere le strade della città, ad attraversarle, ad andare da soli a scuola, alla posta, al mercato, a soddisfare autonomamente ai propri bisogni, ad esercitare un loro preciso diritto incluso in quello più generale di cittadinanza: quello di usare gli spazi della città, percorrerli con sicurezza.
La assenza di questi cittadini dalle strade è una prova eclatante della perdita di democrazia delle aree urbane.
Un bambino di Granollers (Barcelona) diceva che la bicicletta è più democratica dell’automobile perché possono usarla tutti, anche i bambini, mentre per l’auto occorre una certa età, la patente e tanti soldi.

La condizione dei bambini nella città
Per il bambino la situazione è se possibile ancora peggiore: tracorre la maggior parte del suo tempo in luoghi chiusi, dove svolge attività organizzate e controllate dagli adulti; ha una mobilità autonoma estremamente modesta e quindi non ha la possibilità di cercarsi degli amici per giocare o per condividere l'avventura di scoprire luoghi nuovi; non gli viene consentito di sperimentare rischi proporzionati alla crescita delle sue capacità.
Il bambino è escluso dalla città, la sua integrazione si verifica solo in ambienti appositamente pensati per lui. Questo significa che nelle loro attività di gioco i bambini non possono assistere alle attività degli adulti e quindi hanno minori possibilità di acquisire conoscenze e abilità attraverso l'osservazione e l'imitazione (Germanos, 1995).
Le diverse modalità di appropriazione degli spazi pubblici del quartiere da parte dei bambini, in particolare l'accesso agli spazi per il gioco, la valutazione degli spazi aperti del quartiere e la loro possibilità di muoversi autonomamente sono influenzati dalla progettazione dell'ambiente urbano (Giuliani, Alparone e Mayer, 1997).

Il gioco in città. La città storica, dove non c'erano spazi previsti per i bambini, si offriva al bambino come un playground, un spazio definito e protetto, ma abbastanza esteso e ricco da accogliere il gioco dei bambini nel mondo degli adulti. La città di oggi invece, assomiglia sempre più ad un insieme di sandbox, spazi recintati di piccole dimensioni. La città playgrund era intrigante perché varia ed estesa, aveva dei confini flessibili; l'incontro con l'altro era cercato e non temuto, la sicurezza era ottenuta grazie ad un continuo processo di appropriazione dello spazio da parte del bambino. Nella città sandbox non c'è imprevisto, la percezione del suo spazio è immediata e conclusa nel momento stesso della sua percezione, la sicurezza è ottenuta grazie alla netta separazione tra interno ed esterno (Bozzo, 1995).
Negli ultimi decenni si è profondamente modificato l’uso degli spazi pubblici da parte dei bambini: è aumentata l’età in cui è permesso ai bambini di stare fuori casa senza il controllo di adulti, è diminuita la varietà e la qualità dei luoghi nei quali possono muoversi, sono aumentate sia le limitazioni poste dagli adulti, sia le professionalità che avevano il compito di sorvegliare le attività dei bambini (Gaster, 1991).
Tra lo spazio e le attività ludiche esiste una relazione complessa. Le strade e le piazze vicine alle abitazioni, diversamente da quello che si verifica per i giardini privati, promuovono l’incontro con un numero maggiore di coetanei, consentono la realizzazione di giochi diversi e permetonoe ai bambini di acquisire familiarità con l'ambiente che viene percepito come uno spazio semi-privato (Brougère, 1991). Così come negli spazi dotati di prati e alberi i giochi creativi sono più frequenti rispetto ad aree prive di vegetazione (Taylor, A. F., et al., 1998).
La soluzione offerta dalle dalle comunità locali alla incapacità della città di accogliere il gioco dei bambini è stata la creazione di spazi specializzati (Marillaud, 1991). Questi spazi, tuttavia, sono una risposta inadeguata perché spesso sono dotati di strutture standardizzate che implicano una sorta di codificazione del gioco e favoriscono soprattutto la dimensione motoria, con una conseguente riduzione dell’espressività ludica (Danacher, 1991). Per queste caratteristiche, le aree dedicate al gioco non promuovono la socializzazione fra i bambini, privilegiando le relazioni tra gli adulti e i bambini (Ader e Jouve, 1991). Qualsiasi tipo di area per il gioco che riduca il ruolo dell'immaginazione e renda il bambino più passivo, anche se può sembrare bella, pulita, sicura, non potrà soddisfare le sue esigenze ludiche (Alexander, 1977). Per offrire una risposta alle esigenze ludiche dei bambini l’ambiente dovrebbe essere ricco e stimolante in modo da offrire loro diverse possibilità di interazione e appropriazione; questo significa dare libero accesso ai diversi spazi della città (Moore, 1978; Ader e Jouve, 1991)

Percorrere la città. Sessanta anni fa la mobilità di un bambino all’età della scuola elementare non era molto differente da quella dei suoi genitori. Oggi la mobilità dell’adulto è grandemente aumentata, ma parallelamente quella dei bambini si è ridotta notevolmente, in gran parte per il rischio introdotto dalle automobili (Parr, 1967).
La diminuzione dell'autonomia del bambino non riguarda solo la possibilità di compiere ampi spostamenti nel tessuto urbano. Un numero crescente di bambini è accompagnato a scuola da un adulto, in genere in automobile. Sempre meno bambini possono attraversare la strada da soli, recarsi autonomamente nei luoghi di svago, guidare una bicicletta in spazi pubblici, ecc. La diminuzione della libertà e della possibilità di operare scelte autonome ha determinato un rallentamento del processo di crescita del bambino, a causa della mancanza di apprendimenti sia delle caratteristiche spaziali dell'ambiente sia di comportamenti che garantiscono l'indipendenza (Hillman, 1993).
Alcuni elementi del tessuto urbano più di altri hanno delle ricadute negative sulla mobilità dei bambini. Gli attraversamenti delle strade sono elementi cruciali nella rete dei percorsi pedonali. Sono luoghi particolarmente pericolosi e per questa ragione, rappresentano delle vere barriere cognitive che impediscono ai bambini di appropriarsi della città (Bonanomi, 1994).
Neil Armstrong, che ha studiato l'influenza della diminuzione della mobilità autonoma sullo sviluppo fisico dei bambini, ha evidenziato che il 50% delle ragazze di età compresa tra i 10 e i 16 anni e il 30% dei ragazzi della stessa età non vivono esperienze equivalenti ad un percorso di dieci minuti fatto a piedi.
Lo sviluppo della mobilità autonoma nei bambini è influenzato non solo dalla reale pericolosità dell'ambiente ma anche dalla percezione dei rischi nei genitori e nei bambini stessi. Il concetto di rischio è molto ampio, perché i timori e le preoccupazioni riguardano non solo il pericolo di incidenti fisici, ma anche l’inquinamento dell’aria, il rumore, le limitazioni presenti nell’ambiente esterno per i bambini, la diminuzione della loro libertà di movimento, la loro separazione da altri bambini e dagli adulti (Bjorklid, 1994).
La percezione dei rischi è diversa nei bambini e nei genitori. I genitori, ad esempio, diversamente dai loro figli, considerano gli incidenti stradali come gli eventi più probabili e gravi (Lee e Rowe, 1994).

Ma se una città si fa carico delle esigenze del bambino?
Gli stessi cittadini che hanno chiesto una mobilità rapida, a totale servizio dell’auto, oggi, anche grazie al cambiamento culturale promosso dai movimenti ambientalisti, stanno modificando la domanda. Chiedono maggiore pulizia, minore occupazione di suolo pubblico, maggiore salute. Gli amministratori rispondono però a queste domande intervenendo sugli effetti e non sulle cause del malessere. Si usano asfalti elastici o paratie antirumore per ridurre l’inquinamento acustico, si costruiscono enormi parcheggi sotterranei per liberare spazi in superficie, si fermano periodicamente le macchine o si impongono le marmitte catalitiche per abbassare gli indici di inquinamento. Ma, almeno nei nostri paesi mediterranei, non si interviene sul numero di auto, sulla loro compatibilità con i cittadini che scelgono di muoversi a piedi o in bicicletta.

Assumendo il bambino come parametro siamo costretti a tener conto in forma coerente e radicale delle esigenze dei più piccoli, di tutti coloro che si muovono a piedi. Una maggioranza anche nella città tecnologica di oggi.
Una città che accetta questa sfida dovrà essere capace di accogliere l’esigenza di autonomia dei bambini. Questo significa da un lato che le strade devono diventare meno pericolose e dall’altro che la comunità sociale si deve fare carico di quello che succede negli spazi pubblici, perché vengono riconosciuti come spazi di tutti.
Da un lato interventi strutturali che mostrino chiaramente che la città ha scelto i cittadini rispetto alle macchine: marciapiedi larghi e liberi, strade che per la loro forma, la loro ampiezza o la loro pavimentazione non permettono velocità pericolose per i pedoni. Ma si può fare di più, i marciapiedi possono costituire un percorso continuo, senza interruzioni né per gli accessi carrabili né per gli attraversamenti. Il marciapiede, la strada dei pedoni, dei bambini, degli handicappati, non modifica mai il proprio livello; la strada, dove si muovono mezzi a motore, sale e scende per raccordare i passaggi pedonali. Queste possono essere alcune regole per la realizzazione di tutte le strade dei quartieri, delle piccole città dove la gente vive. Diversa sarà la logica delle strade di connessione, di larga percorrenza, di rapidi spostamenti. Ma anche in questi casi potrebbero essere le strade delle macchine che perdono il proprio livello per sollevarsi o interrarsi per lasciare ai pedoni la possibilità di mantenere la loro quota.
Se i bambini possono uscire da soli di casa, debbono disporre di luoghi stimolanti dove andare. Dovranno essere luoghi veri, belli, interessanti per le varie generazioni e quindi vissuti e frequentati e per questo sicuri.
Una città che sceglie i bambini e i pedoni dovrà promuovere la crescita di una sensibilità nuova e quindi chiedere il rispetto delle poche norme del codice della strada che difendono questi soggetti. Dovrà per esempio applicare con rigore la norma che prevede una multa per gli automobilisti che non rispettano la precedenza dei pedoni nei passaggi pedonali.

“A scuola ci andiamo da soli”
Una proposta operativa, possibile, ma significativa e complessa, per iniziare il lungo percorso delle città verso una mobilità più giusta e condivisa è “A scuola ci andiamo da soli”. Si invitano i bambini delle escuole elementari, dai 6 ai 10 anni, ad andare a scuola a piedi, con i loro compagni, non accompagnati da adulti. L’esperienza apparentemente è semplice perché il percorso è breve e si ripete ogni giorno, ma occorre superare i timori dei genitori, legati al traffico e ad eventuali pericoli sociali che i loro figli possono incontrare. Per questo l’esperienza diventa complessa, deve coinvolgere molti protagonisti e quindi, se alla fine riesce ad avere un esito positivo, porta reali cambiamenti nella città, molto superiori alla soddisfazione dei bambini per la piccola autonomia conquistata.
Perché la paura delle famiglie diminuisca in modo da poter permettere ai figli di uscire da soli, occorre che le strade non permettano un traffico pericoloso, quindi sono necessari, da parte degli amministratori interventi strutturali e sui comportamenti, per rallentare il movimento automobilistico. Occorre aiutare i genitori a capire che i bambini per crescere in modo armonico hanno un reale bisogno di maggiore autonomia e di esperienze proprie.
Si deve poi coinvolgere in maniera forte la scuola perché adotti l’iniziativa per il suo significato educativo e pedagogico: come pratica di solidarietà nell’aiuto fra i più piccoli e più grandi; come proposta di educazione ambientale attraverso la conoscenza diretta e quotidiana del quartiere, attraverso le sue trasformazioni climatiche, sociali, strutturali; come corretta forma di educazione stradale attraverso la pratica della pedonalità, in alternativa alle assurde proposte di insegnamento delle norme del codice e dei segnali stradali.
Si deve infine lavorare per costruire una nuova sensibilità sociale nel quartiere. Per questo si possono coinvolgere, anche con opportuni interventi formativi, i vigili urbani, gli anziani e i commercianti del quartiere. Questi ultimi hanno una caratteristica particolare, vivono sulla strada e i loro negozi possono costiutire un punto di riferimento e di sicurezza per un bambino che si trovasse in qualsiasi situazione di necessità. I commercianti che accettano di diventare dei punti di riferimento per i bambini mettono a loro disposizione il bagno, il telefono, l’acqua e comunque un adulto disposto ad ascolatare e ad aiutare.
Quando queste condizioni si realizzano e si sommano positivamente, il numero dei bambini che vanno da soli aumenta con piena soddisfazione dei bambini e delle famiglie. Questi risultati però sono fragili e possono regredire se qualcuna delle condizioni indicate viene meno e in particolare la preoccupazione degli amministratori e l’interesse della scuola (Baraldi, 1997).

Conclusioni
Una città che ripensa criticamente le sue scelte rispetto alla mobilità e per questo si affida ai bambini, consapevole che questi rappresentano in maniera emblematica le esigenze di tutti i cittadini più deboli, non è una città legata ad un passato che non c’è più, ma piuttosto una città che pensa in forma critica e matura al suo futuro, attraverso scelte di sviluppo sostenibile (Tonucci, 1996).
Modificare la mobilità di un ambiente complesso come quello urbano può apparire un’utopia, possibile solo attraverso la realizzazione di costosissimi cambiamenti delle caratteristiche fisiche della città. Naturalmente occorrono cambiamenti strutturali, ma un nuovo tipo di mobilità, più democratico, è reso possibile e garantito soprattutto dall’assunzione di nuovi atteggiamenti da parte dei diversi soggetti sociali.
Una mobilità più autonoma e più ecologica, che scommette sulla pedonalità e sulla bicicletta, non è solo un modo semplice ed economico per ritrovare spazi pubblici, per diminuire sensibilmente l’inquinamento e il rumore, per salvare i monumenti, ma è anche un importante contributo alla salute psicofisica dei suoi abitanti. Mettere i cittadini in condizione di vivere con più autonomia, con maggiori possibilità di muoversi e di usare la città con il proprio corpo, con meno bisogno di aiuto e di servizi, significa scegliere una politica del benessere. E di questa i bambini sono garanti.


Bibliografia

J. Ader, H. Jouve (1991), Jeu et contexte urbain, Architecture & Comportement, 7, (2), pp. 115-119.
C. Alexander et al. (1977), A pattern language, Oxford Press, New York.
N. Armstrong (1993), Independent mobility and chindren's physical development, in M. Hillman (1993), ed,Children transport and quality of life, pp. 35-43, "Policy Studies Institute", London.
P. Bjorklid (1994), Children - traffic - environment, Architecture & Comportement, 10, (4) pp. 361-369.
C. Baraldi (1997), Il laboratorio Fano, La Città dei bambini ed il progetto A scuola andiamo da soli, Rapporto tecnico, Università di Urbino, Istituto di Sociologia, Urbino.
L. Bonanomi (1994), L'enfant et la traversée de la chaussée, Architecture & Comportement,, 10, (4), pp. 399-406.
L. Bozzo (1995), Il gioco e la città, Paesaggio urbano, 2 pp. 30-33.
G. Brougère (1991), Espace de jeu et espace pubblic, Architecture & Comportement, 7, (2), pp. 165-177.
A. Danacher (1991), Contraintes de l'espace ludique aménagé, Architecture & Comportement, 7, (2), pp. 153-165.
S. Gaster (1991), Urban children's access to neighborhood, Environment & Behavior, 23, (1), pp. 70-85.
D. Germanos (1995), La relation de l'enfant a l'espace urbain: perspectives educatives et culturelles, Architecture & Comportement, 11, (1), pp. 54-63.
Giuliani, M. V., Alparone, F., Mayer, S. (1997). Children's appropriation of urban spaces. Paper presented at the Urban Childhood International Conference, Trondheim, Norway, 9-12 June 1997.
M. Hillman (1993), ed,Children transport and quality of life, "Policy Studies Institute", London.
T. Lee, N. Rowe (1994), Parent's and children's perceived risk of the journey to school, Architecture & Comportement, 10, (4), pp. 379-389.
J. Marillaud (1991), Jeu et securité dans l'espace pubblic, Architecture & Comportement, 7, (2), pp. 137-145.
R. Moore (1978), Playground at the crossroad?, in I. Altmann, E.H. Zube (eds.). Human behavior and environment, Public places and space, vol. 10, Plenum Press, New York, pp. 83-127.
A.E. Parr (1967), The children in the city: Urbanity and urban scene, Landscape, Spring.
A. F. Taylor, A. Wiley, F. E. Kuo, W. C. Sullivan (1998), Growing up in the inner city: Green spaces as places to grow, Environment and Beahvoir, 30, (1), pp. 3-27.
F. Tonucci, (1996) La città dei bambini, Laterza, Bari.


1 Francesco Tonucci - Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR - Responsabile del progetto "La città dei bambini" - via U. Aldrovandi, 18 - 00197 Rome, Italy - <tonucci@nembo.net>





 

domenica 18 gennaio 2015

MARCIAPIEDI LIBERI (Via Romani, Via Porzio, Via Guerrazzi, ...)

A Casalmaggiore in centro ci sono alcune vie dove i marciapiedi sono occupati dagli stalli delle automobili. Questa situazione anomala dipende dalla priorità data, dalle amministrazioni che si sono succedute, alle auto, sia per ricavare parcheggi sia per mantenere in alcuni casi il doppio senso di marcia. Con queste scelte si è pregiudicato il diritto dei Pedoni e dell'utenza debole di muoversi in piena liberta e sicurezza, senza essere costretti in molti casi a camminare sulla carreggiata, perchè il marciapiede è ostruito.

I marciaPIEDI, infatti, ricordiamo, sono stati creati per proteggere l'utenza debole dal traffico veicolare nelle strade principalmente urbane. Il codice della strada prevede che la larghezza minima sia di 1,5 metri. Ci sono alcune deroghe per casi particolari, ma gli ingombri posizionati sui marciapiedi non possono pregiudicare il passaggio dei pedoni lasciando almeno un metro puntuale. 
Negli anni visto l'aumento del traffico veicolare la situazione è andata via via peggiorando. Gli stalli disegnati sui marciapiedi in alcuni casi non si attengono alla regola del metro puntuale e non avendo posizionato delle barriere fisiche (ad esempio paletti) nella realtà le ruote delle auto debordano quasi sempre dalla striscia a terra impedendo il passaggio agevole dei Pedoni, per i disabili in carrozzina è praticamente impossibile passare. 
Questi stalli sui marciapiedi hanno anche un effetto collaterale importante e negativo, perchè danno la sensazione agli automobilisti che i marciapiedi siano a loro riservati. 
Ci sono situazioni, come in via Romani, dove è costantemente ostruito il passaggio sui marciapiedi sia per i fenomeni sopra esposti sia perchè dove le distanze minime non lo permettevano (dove la strada si restringe) comunque vengono parcheggiate le auto sui marciapiedi ostruendone completamente il passaggio.  Questi comportamenti non solo sono contro il CdS, ma di fatto non sono mai stati sanzionati. 
Nell'ultimo tratto di via Porzio dal semaforo verso la piazza Garibaldi gli stalli sul marciapiede sinistro non hanno alcun senso visto che la strada è a senso unico e che la carreggiata è ampia e potrebbero essere collocati sulla strada senza pregiudicare il passaggio delle auto ed anzi attuando in questo modo una semplice tecnica di moderazione della velocità attraverso il restringimento della carreggiata a soli 3 metri. 
Anche gli stalli presenti sul lato destro di via Guerrazzi dove ci sono uffici e abitazioni non rispettano in alcuni casi il limite del metro lineare e potrebbero essere tranquillamente spostati sul lato sinistro dove il marciapiede è poco utilizzato perchè è delimitato da una muraglia, fra l'altro in questo modo si potrebbero recuperare almeno una decina di parcheggi in più.











domenica 11 gennaio 2015

Piazza Garibaldi e Piazza Turati



Come più volte ricordato una rigenerazione della città di Casalmaggiore non può prescindere dalle due piazze principali Garibaldi e Turati. 
In piazza Garibaldi si suggeriusce di introdurre il 20 km/h come limite di velocità per agevolare gli spostamenti dei pedoni e soprattutto dell'utenza debole. Per rendere questa limitazione della velocità effettiva  basterebbe rialzare tutti i passaggi pedonali all'interno dell'ovale che collegano i marciapiedi esterni con il listone e tutti i passaggi pedonali presenti in prossimità della piazza nelle vie di collegamento Porzio, Marconi, Cairoli, Favagrossa, Cavour,etcc... (indicato in verde nell'immagine). Lungo tutto l'ovale dove ci sono le panchine si potrebbe inserire del verde pubblico come anche in tutta la facciata del palazzo comunale senza intralciare in questo modo gli spazi dedicati al mercato del Sabato e alle manifestazioni.

In Piazza Turati dove ormai da anni non è più consentito il traffico veicolare non si può riaprire, anche se potrebbe in parte risolvere le sue problematiche di desertificazione, in quanto il manto stradale attuale non lo permette. Riteniamo sia quindi più opportuno trasformarla in una Piazza dedicata ai Bambini e alle Famiglie togliendo il monumento al Po (che fra l'altro è abbandonato e non funzionante) e sostituendolo con una semplice fontana, riportando tutto su uno stesso livello perchè quelle discese di accesso alle panchine sono pericolose e ripide. Nella zona centrale indicata con il verde si consiglia di posizionare ai lati delle panchine e all'interno dei giochi per Bambini, eventualmente anche un piccolo soppalco per rappresentazioni.
L'attrattività commerciale della città deve pensare ad offrire sarvizi alle famiglie con Bambini che oggi in centro non trovano alcuna attrattività (ricordiamo infatti che tutti i parchi sono lontani dalle piazze e in pessime condizioni (prive di giochi e poco curati). Si risolverebbe anche il problema del vandalismo visto che la zona è sorvegliata da telecamere 24/24 (?). Lungo il lato del Palazzo Comunale si possono mettere le rasttrelliere porta bici. A quel punto una gelateria potrebbe trovarvi spazio con soddisfazione.

sabato 10 gennaio 2015

SCUOLA MARCONI

Una parte del Piano di Mobilità Scolastica davanti alla Scuola Primaria Marconi di Casalmaggiore può essere così realizzato tenendo presente tutte le criticità evidenziate il 15 Settembre 2014 con il Biketoschool al quale aveva partecipato l'Assessore alla viabilità Leoni.


Questo piano davanti alla Scuola ha diverse finalità:
- garantire sicurezza ai Bambini
- incentivare il tragitto casa-scuola a piedi e in bici
- abbattere l'inquinamento dell'aria negli orari di entrata e uscita dei Bambini
- rigenerare gli spazi davanti alla scuola in funzione delle esigenze delle famiglie


Per fare questo, come indicato nella cartina, occorre chiudere al traffico veicolare negli orari di entrata/uscita la via Rotelli e l'ultimo tratto di via della Pace (in blu), rendere i passaggi pedonali sicuri rialzandoli (almeno 3) in corrispondenza del parcheggio, davanti alla sede AVIS e in uscita dal ciclabile del quartiere Baslenga. Creare due percorsi pedonali sicuri, uno per il tragitto del piedibus linea verde 3  che si immette nella strada che collega la scuola materna comunale (in alto in blu), uno all'altezza dell'argine maestro in via Italia a fianco della scuola primaria (in basso a sinistra) che collegandosi direttamente con lo spiazzo davanti alle scuole permetterebbe a tutti di arrivare a piedi e in bici in totale sicurezza senza incrociare traffico veicolare e rappresenterebbe anche l'ultimo tratto della quarta linea piedibus che abbiamo chiamato blu che si estenderebbe su tutto l'argine dall'ospedale vecchio.http://slowtowncasalmaggiore.blogspot.it/2014/11/nuova-linea-piedibus-bicibus-argine.html

Per agevolare le famiglie che portano i Bambini a scuola in auto, soprattutto dei bambini che frequentano le classi IV e V (già autonomi) c'è lo spazio per fare in via Adua una fermata "Scendi e Vivi" dove le auto di fermano per qualche secondo a far scendere i Bambini che poi proseguono in sicurezza e sorvegliati da un paio di volontari in via della Pace per soli 200 metri circa sul marciapiede (quel tratto di via prima della sbarra deve essere chiusa per qualche minuto, tranne che per i residenti).

I due spazi verdi di fronte alla Scuola delimitati in verde devono essere trasformati in parco giochi e accoglienza Genitori/Nonni. E' un bisogno che deve essere corrisposto e che nessuno ha pensato nella progettazione. Di fatto tutti i giorni centinaia di persone sostano in piedi in attesa dell'uscita del bambini senza avere alcuna possibilità di sedersi, ne di avere riparo in caso di forti piogge o sole cocente. Inoltre molti genitori portano con se i Bimbi piccoli che provengono dalle materne/nidi e sarebbe di grande utilità poterli far giocare sul prato nell'attesa. Ciò avrebbe anche un effetto positivo sul deflusso delle auto che sarebbe più cadenzato, si eliminerebbe traffico in centro perchè poi molti si recano negli altri parchi cittadini e sarebbe un incentivo a muoversi in bici per tutta la famiglia. La consegna degli alunni da parte delle maestre sarebbe molto meno caotico di oggi e pericoloso visto che all'uscita, di quando in quando, qualche bambino cade e si fa male sull'asfalto. Quindi giochi, panchine e qualche gazebo per l'ombra sono utilissimi.

Altri elementi di minore importanza devono essere sistemati, come ad esempio le discesine mancanti vicino alle sbarre per far passare le bici e l'attuale promiscuità tra i percorsi pedonali/ciclabili e la sosta dei genitori....

lunedì 5 gennaio 2015

Multifunzionalità e conflittualità nelle Zone 30


Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Multifunzionalità e conflittualità nelle Zone 30
Luca Staricco

Le diverse funzioni dello spazio stradale urbano.
La letteratura su mobilità e conflitti si è finora in gran parte concentrata sull’opposizione ai grandi interventi
infrastrutturali, in particolare in contesti ambientalmente sensibili. Minore attenzione è stata invece delicata a quelle forme di conflittualità che sono innescate da interventi soft di regolamentazione della circolazione: istituzione di ZTL e ZTL ambientali, pedonalizzazione di piazze e tratti di strade, sostituzione di parcheggi con piste ciclabili ecc. Le cronache locali dei quotidiani riportano frequentemente notizie di proteste e petizioni di cittadini, commercianti, comitati spontanei contro provvedimenti volti a razionalizzare la circolazione e la sosta del traffico motorizzato privato; eppure questi fenomeni sono stati finora poco analizzati: a fronte, ad esempio, della quasi immancabile opposizione dei negozianti alla pedonalizzazione delle vie su cui si affacciano i loro esercizi, mancano studi che abbiano valutato in modo sistematico come e quanto tale forma di regolazione incida sui fatturati delle attività interessate.
 Alla base di queste forme di dissenso, generalmente di minor forza rispetto a quelle determinate dalle grandi opere infrastrutturali ma talvolta sufficienti a bloccare, far rinviareo indebolire le misure previste, vi è la contrapposizione tra le diverse funzioni che lo spazio stradale urbano deve assolvere, in particolare tra quella legata alla mobilità e lealtre.
La strada è infatti intrinsecamente multifunzionale (Socco e Montaldo 2005). Da un lato, è lo spazio della mobilità: essa consente agli individui di effettuare spostamenti di breve, medio e lungo raggio, e quindi garantisce quelle interazioni, tra persone e tra attività, che sono alla base della vita economica e sociale della città. Da un altro lato, è una componente fondamentale dello spazio pubblico connettivo del tessuto residenziale, ospitando la vita delle persone che avviene fuori dagli spazi chiusi. Le persone scendono in strada non solo per spostarsi da un punto all’altro della città, ma anche per lo svago di una passeggiata senza una destinazione precisa, per farvi muovere il cane, per incontrare e chiacchierare con altre persone, per guardare le vetrine dei negozi e farvi acquisti, e così via. In questo senso, la strada garantisce uno degli aspetti caratterizzanti il cosiddetto “effetto città”: quella serendipity che offre occasioni a chi si muove di effettuare incontri imprevisti, di osservare scene di vita inaspettate, di provare sensazioni sorprendenti. Ancora, la strada è, con le piazze, una parte essenziale del paesaggio urbano: non solo le quinte dei palazzi che la delimitano, ma anche il disegno dell’infrastruttura viaria, il modo in cui i suoi spazi sono distribuiti tra le diverse componenti della mobilità e della sosta, la presenza o meno di verde e arredo urbani, le attività che vi si affacciano, la vita sociale che vi si svolge, contribuiscono tutti a determinare la bellezza dello spazio urbano, e quindi la sua attrattività non solo per i turisti ma per gli stessi residenti. Queste diverse funzioni non sono automaticamente compatibili tra loro. In particolare, la funzione legata alla mobilità può comportare degli impatti fortemente negativi sulla vivibilità e qualità ambientale e paesaggistica, se la strada è configurata in modo da consentire e privilegiare flussi di traffico motorizzato privato non moderati né come velocità né come quantità. Automobili, motorini e veicoli commerciali leggeri generano emissioni di inquinanti atmosferici ed acustici e rischi in termini di sicurezza – in misura molto maggiore rispetto ai mezzi collettivi, a parità di persone trasportate – che rendono la strada poco adatta ad ospitare una ricca vita sociale (e, in relazione all’inqui-namento, danneggiano la salute non solo di chi si muove all’aperto, ma anche dei residenti negli edifici che sulla strada si affacciano)1. Inoltre, la presenza di un numero consistente di veicoli in sosta negli spazi stradali non contribuisce certo positivamente alla qualità del paesaggio urbano – in particolare nelle vie e piazze della città storica, ma non solo – e riduce il suolo a disposizione per le altre forme di mobilità e di relazioni sociali. In altre parole, la mobilità può andare a discapito delle altre citate funzioni della strada urbana, se non adeguatamente controllata e gestita in termini di consistenza e ripartizione modale. Nei decenni successivi al secondo dopoguerra, parallelamente alla crescita continua del tasso di motorizzazione, in Italia non solo le grandi arterie viarie extraurbane, ma anche le stesse strade urbane (comprese quelle collocate nelle aree più residenziali, dove si concentra un’alta densità di abitanti e di servizi locali) sono invece state generalmente progettate o ridisegnate come “canali di traffico”, aventi la funzione prioritaria e prevalente di garantire il fluido scorrimento di consistenti flussi di mobilità motorizzata privata. Questo approccio “funzionalista”, volto a privilegiare la mobilità come funzione principale, è andato progressivamente a discapito della capacità delle strade urbane di rispondere alle altre esigenze dei loro utenti, a causa dei costi ambientali e sociali del traffico veicolare. Con ciò non si intende affermare che l’efficienza trasportistica delle strade sia un fattore negativo: una strada congestionata e priva di un numero sufficiente di spazi di sosta (con conseguente traffico secondario generato dalla ricerca di un parcheggio libero) non è a sua volta vivibile, sicura, sana. Al tempo stesso, tale efficienza funzionale deve essere vista come un requisito necessario ma non sufficiente: un’autostrada urbana che attraversi in superficie aree urbane densamente abitate (si pensi al caso di Genova) può smaltire efficacemente consistenti flussi di traffico, ma generare esternalità inaccettabili per i residenti. 
Dal criterio della funzionalità a quello della sostenibilità
La ricerca di un’effettiva compatibilità tra le diverse funzioni dello spazio stradale urbano richiede di passare da un criteriodi funzionalità, volto a privilegiare la mobilità come funzione prioritaria da garantire anche a discapito delle altre, ad un criterio di sostenibilità, volto a prendere in considerazione il complesso delle esigenze cui lo spazio viario deve rispondere(European Commission 2006). Questo criterio non richiede una particolare innovazione nella progettazione urbanistica ed infrastrutturale. Sin dagli anni Sessanta in Europa è stata riconosciuta l’incompatibilità di una mobilità urbana squilibrata sulla modalità motorizzata privata con le esigenze di qualità ambientale e di vivibilità sociale: il celebre Rapporto Buchanan (Ministry of Transport, 1963), redatto nel 1963 da un gruppo di lavoro istituito dal Ministero dei Trasporti del Regno Unito e guidato da Colin Buchanan, aveva già posto la compatibilità ambientale del traffico stradale come questione centrale per le aree urbane. A fronte di questo riconoscimento, una parte dell’urbanistica moderna ha sviluppato modelli di assetto urbano e schemi spaziali incardinati sulla gerarchizzazione della rete viaria e sulla separazione del traffico di attraversamento da quello di accesso2: il primo deve essere concentrato il più possibile sulla rete primaria delle principali arterie viarie urbane a grande scorrimento; le aree ricomprese nella maglia di questa rete primaria costituiscono le cosiddette “unità di quartiere”, intese come ambiti prevalentemente residenziali autosufficienti in termini di servizi di base (e aventi un’estensione compresa tra una soglia massima definita dal bacino di accessibilità pedonale per gli spostamenti “casa-servizi di base”, e una minima dipendente dalla soglia di indivisibilità tecnico-funzionale di tali servizi) in cui la rete secondaria delle strade locali e di quartiere dovrebbe ospitare quasi esclusivamente il traffico di accesso alle residenze ed ai servizi di base. La separazione dei flussi di scorrimento da quelli di accesso non viene perseguita tramite divieti, bensì tramite l’introduzione nelle unità di quartiere di misure di moderazione del traffico, volte a disincentivare l’attraversamento di tali aree per quegli spostamenti che non abbiano origine o destinazione all’interno di esse. Le prime forme di moderazione del traffico sono state sperimentate in Inghilterra a metà degli anni Sessanta con i cosiddetti shared space: spazi condivisi in uso promiscuo da pedoni, ciclisti e veicoli motorizzati, con la chiusura a cul-desac di alcuni tratti di strada (proprio per scoraggiare i flussi di attraversamento). Negli anni Settanta sono stati istituzionalizzati nei Paesi Bassi i woonerf, strade residenziali in cui i pedoni hanno la precedenza su tutta la carreggiata e i veicoli devono procedere a passo d’uomo. Oggi, la strategia maggiormente diffusa di moderazione del traffico non è più legata alla condivisione dello spazio stradale da parte dei suoi diversi utenti, bensì – mantenendo la distinzione tra marciapiede per i pedoni e carreggiata per i veicoli – alla limitazione delle velocità, attraverso l’istituzione negli ambiti residenziali delle cosiddette Zone 30 (20 mph Zones in Gran Bretagna, tempo 30 Zonen nei Paesi di lingua tedesca (Busi, a cura di, 2003). Il limite massimo di velocità di 30 km/h viene posto in queste zone con un duplice obiettivo. Innanzitutto, è visto come soglia di sicurezza accettabile per spazi pubblici che possono ospitare un’intensa vita sociale, in quanto riduce i rischi di gravi conseguenze per la salute in caso di incidenti tra pedoni e veicoli. In secondo luogo, le emissioni inquinanti atmosferiche ed acustiche dei veicoli motorizzati sono significativamente limitate a velocità così basse. In terzo luogo, il limite dei 30 km/h risulta generalmente accettabile per spostamenti molto brevi (per chi, ad esempio, dalla propria residenza all’interno dell’ambito residenziale debba raggiungere in poche centinaia di metri la rete primaria, dove può viaggiare a 50 o 70 km/h per recarsi in altre parti della città, o viceversa dalla rete primaria debba accedere ad una destinazione all’interno dell’ambito stesso), ma non per spostamenti di medio e lungo raggio: in tal senso, risulta compatibile con quel traffico di accesso che, solo, dovrebbe caratterizzare gli ambiti residenziali, mentre dovrebbe disincentivare il traffico di scorrimento dall’attraversare tali ambiti. In questo senso, la strategia delle Zone 30 è coerente con quel criterio di sostenibilità che mira a mettere in reciproca compatibilità le molteplici funzioni che le strade residenziali devono assolvere (Hamilton-Baillie 2002). Occorre però ricordare che questa strategia può avere successo solo se inserita in una più generale e congruente pianificazione della mobilità: in molte aree urbane, infatti, i flussi motorizzati privati hanno raggiunto livelli tali da non permettere di concentrare il traffico di scorrimento sulla sola rete primaria, a meno di non perseguire contemporaneamente un forte riequilibrio della ripartizione modale attraverso un ingente potenziamento del trasporto collettivo.
La strategia delle Zone 30: il ridisegno dello spaziostradale
La filosofia delle Zone 30, volta a migliorare la vivibilità delle strade locali e di quartiere degli ambiti residenzialiconcentrandovi il solo traffico di accesso attraverso misure di moderazione della velocità, è perfettamente coerente con la normativa nazionale italiana. Le Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei Piani Urbani del Traffico, emanate dal Ministro dei Lavori Pubblici nel 1995, affidano al PUT la classificazione funzionale delle strade, al fine di distinguere una rete viaria principale urbana, che deve essere “caratterizzata dalla preminente funzione di soddisfare le esigenze di mobilità della popolazione (movimenti motorizzati)”, dalla rete viaria locale urbana, la cui funzione preminente deve essere quella di “soddisfare le esigenze dei pedoni e della sosta veicolare” (p. 18)3. Alle singole zone urbane racchiuse dalle maglie della rete della viabilità principale viene data dalle Direttive la denominazione di isole ambientali: “‘isole’, in quanto interne alla maglia di viabilità principale; ‘ambientali’ in quanto finalizzate al recupero della vivibilità degli spazi urbani”; esse sono “sono tutte da considerare come ‘aree con ridotti movimenti veicolari’” (pp. 18-19). Le Direttive introducono inoltre un particolare tipo di isole ambientali, le zone a traffico pedonale privilegiato, in cui vigono “la precedenza generalizzata per i pedoni rispetto a veicoli (fermo restando – comunque – l’obbligo per i pedoni di attraversamento ortogonale delle carreggiate), il limite di velocità per i veicoli pari a 30 km/h, la tariffazione della sosta su spazi pubblici stradali (con agevolazioni tariffarie per i residenti) e lo schema di circolazione tale da impedire l’attraversamento veicolare della zona e da costringere le uscite dalla zona su percorsi prossimi a quelli di ingresso (percorsi ad U)” (p. 49). A fronte di queste esplicite indicazioni normative, la strategia delle Zone 30 non viene perseguita in modo sistematico nelle aree urbane italiane, non solo a livello di complessivo territorio comunale, ma neppure nei singoli ambiti residenziali (o isole ambientali, adottando la definizione della normativa): misure di moderazione della velocità vengono generalmente introdotte su tratti limitati di singole strade, spesso in corrispondenza di forti attrattori di spostamenti (specialmente se interessano utenti deboli – scuole, ospedali, servizi pubblici ecc. – o aree storiche di pregio), e solo raramente vengono estese su zone più ampie. Inoltre, queste misure sono nella maggior parte dei casi costituite da interventi puntuali di tipo ingegneristico (dossi, chicane, minirotatorie, bande trasversali ad effetto ottico o vibratorio ecc.). Al contrario, le più avanzate linee guida europee sulla moderazione del traffico4 prevedono che le Zone 30 debbano consistere non di singole tratte viarie ma di estese porzioni di ambiti residenziali, e che debbano essere realizzate attraverso un sistematico ridisegno dello spazio stradale, volto a:
– ridurre al minimo lo spazio destinato ai veicoli, sia per il transito (con corsie di marcia larghe non più di 2,75 - 3 metri) sia per la sosta, cedendo l’eccedenza allo spaziopedonale;
– garantire la continuità della rete dei marciapiedi, attraverso il rialzamento di tutte le intersezioni e gli attraversamenti pedonali, così da eliminare le barriere architettoniche ed “esplicitare” fisicamente la priorità dei pedoni (in una strada così disegnata, sono i veicoli a dover “salire sul marciapiede”, contrariamente a quanto accade per la viabilità tradizionale, dove è il pedone che, per attraversare, deve “scendere sulla strada veicolare”);
– disegnare le corsie dedicate al traffico motorizzato in modo tale da indurre il conducente al mantenimento costante della velocità di sicurezza, introducendo misure di moderazione del traffico non come singoli interventi ma come sistema sequenziale (in primo luogo proprio attraverso le intersezioni rialzate e gli attraversamenti pedonali rialzati, le cui rampe, se opportunamente disegnate e realizzate, sono particolarmente efficaci nell’indurre gli automobilisti a rallentare);
– limitare la permeabilità al traffico di attraversamento, attraverso la chiusura parziale (sul modello woonerf) o totale (tramite pedonalizzazione) di certi tratti delle strade, nonché la creazione di percorsi tortuosi e non lineari mediante sensi unici, svolte obbligate ecc. 
Il ridisegno dello spazio stradale, se attentamente progettato secondo questo approccio, non garantisce solo un miglioramento della qualità ambientale e della sicurezza, a seguito della riduzione della velocità e della consistenza dei flussi veicolari; offre anche l’opportunità di migliorare la qualità estetica e paesaggistica della rete stradale. La riduzione della carreggiata, l’ampliamento dei marciapiedi e l’introduzione di aree pedonalizzate o condivise tra più utenti aprono infatti nuovi spazi per introdurre elementi di verde (filari di alberi, siepi, fioriere ecc.) e di arredo urbano (déhors, sedute, giochi per bambini, pannelli e strutture espositive ecc.), che possono rendere la strada più piacevole, vivibile ed atta ad ospitare sia forme diverse di interazioni sociali, sia maggiori spostamenti pedonali e ciclabili5 (auspicabilmente anche in sostituzione di spostamenti motorizzati di breve raggio). In questo senso, si conferma ulteriormente la corrispondenza della strategia delle Zone 30 con quel criterio di sostenibilità volto a perseguire la compatibilità tra mobilità e vivibilità.

La strategia delle Zone 30: il ruolo dei processi di partecipazione

Ma il ridisegno dello spazio stradale non è sufficiente a garantire l’efficacia delle Zone 30: tutte le principali linee guida sottolineano come ad esso debba affiancarsi un processo di partecipazione e di educazione civica. Per quanto le misure di moderazione della velocità siano disegnate con perizia, il mantenimento di un comportamento responsabile di guida richiede una convinta adesione da parte dei conducenti dei veicoli; e tale adesione non può essere data per scontata, neppure da parte di chi vive o lavora all’interno di una Zona 30: l’idea che la strada debba innanzitutto permettere di spostarsi rapidamente è ormai così radicata nel senso comune che la prospettiva di dover viaggiare a non più di 30 km/h da/verso la propria residenza o luogo di lavoro può risultare inaccettabile anche su poche centinaia di metri, a meno di non essere chiaramente consapevoli dei benefici (in termini di sicurezza, salute e qualità di vita) e dei costi (i ritardi che ne derivano sono minimi, se subito fuori della Zona 30 è possibile accedere alla rete viaria principale in cui il limite resta di 50 o 70 km/h) effettivi che ne derivano. Per questo, la progettazione e l’attuazione di una Zona 30 deve essere accompagnata da un processo di partecipazione, che coinvolga i diversi stakeholder della zona: residenti, lavoratori, commercianti, scuole e servizi pubblici, comitati e associazioni locali, responsabili dei servizi di emergenza (ambulanze, vigili del fuoco, forze dell’ordine ecc., la cui attività non deve essere ostacolata dalle misure di moderazione della velocità) ecc. Il loro coinvolgimento deve essere previsto lungo tutto il processo di realizzazione della Zona 30 – dalle prime fasi di progettazione a quelle di realizzazione, fino al periodico monitoraggio successivo alla conclusione dei lavori –, attraverso forme di comunicazione (informazioni sul senso della strategia, dei suoi benefici, dei suoi costi ecc.), di consultazione (sulle problematiche di sicurezza nella zona, sulla percezione dei risultati ottenuti ecc.), di animazione (con eventi locali per favorire l’adesione al progetto), di empowerment (ad esempio con l’affidamento a soggetti locali della manutenzione dei nuovi elementi verdi o dei nuovi giochi inseriti). Questo processo di partecipazione viene a configurarsi come una vera azione collettiva di educazione civica, che deve riuscire a diffondere comportamenti di guida più responsabili, a partire dalla consapevolezza che la moderazione della velocità non è finalizzata a penalizzare il trasporto privato, ma a migliorare l’ambiente di vita delle persone. In quest’ottica, è particolarmente utile il coinvolgimento delle scuole (nel disegno dei cartelli di ingresso delle porte delle Zone 30, nella sperimentazione guidata di nuovi percorsi pedonali e ciclabili casa-scuola lungo la rete continua dei marciapiedi e delle pista ciclabili ecc.): i bambini sono soggetti particolarmente sensibili alla vivibilità e sicurezza dello spazio pubblico, e la loro soddisfazione rispetto ad uno spazio stradale meglio rispondente alle loro esigenze (di movimento, di gioco all’aperto, di verde ecc.) può incidere favorevolmente sull’opinione pubblica degli adulti. La riqualificazione complessiva del quartiere che si accompagna alla realizzazione della Zona 30 può inoltre costituire un momento importante di crescita del senso di appartenenza alla propria area di vita, soprattutto se i residenti vengono attivamente coinvolti nella scelta del nuovo arredo urbano, nella definizione degli usi degli spazi pedonalizzati, nella gestione volontaria del verde ecc. Al fine di favorire l’efficacia di questo processo, le linee guida raccomandano che in una prima fase di attuazione della Zona 30, le misure di moderazione della velocità vengano realizzate attraverso soluzioni leggere di tipo provvisorio (ad esempio con elementi standard facilmente collocabili e rimuovibili, dissuasori mobili, ampio uso della segnaletica orizzontale dipinta sulla superficie stradale). In questo modo è possibile, da un lato, mettere rapidamente in sicurezza l’intero ambito residenziale, contenendo i costi, abbreviando la durata della fase di cantiere e facilitando la comprensione, da parte degli abitanti, della strategia proposta; dall’altro lato, la popolazione ha la percezione di non essere messa di fronte a una soluzione predefinita e immodificabile, anzi i residenti sono invitati a suggerire cambiamenti e miglioramenti nella fase provvisoria, anche alla luce di quella conoscenza quotidiana del proprio spazio di vita, che i tecnici esterni non possono avere. Più che gli elementi di moderazione della velocità, comunque, è l’organizzazione superficiale degli spazi a poter innescare la maggiore opposizione locale. Soprattutto nel caso di strade a sezione ridotta, la riduzione degli spazi della sosta può essere inevitabile se si vogliono allargare i marciapiedi a sufficienza da potervi inserire elementi verdi e di arredo urbano; quando però il numero di parcheggi non è elevato (soprattutto nel caso in cui siano presenti negozi, servizi ecc. lungo la strada), questa riduzione può generalmente essere oggetto di proteste e timori da parte soprattutto dei residenti e dei commercianti (anche perché la contemporanea riduzione della sezione di carreggiata, almeno nel caso di vie a senso unico, rende sostanzialmente impossibile la sosta in doppia fila). La riorganizzazione della sosta deve essere impostata, sul lungo periodo, in correlazione alla creazione di parcheggi pertinenziali, che permettano per quanto possibile di eliminare dalla superficie stradale le auto parcheggiate dei residenti, così da rendere necessario un numero minore di posti auto destinati soprattutto alla sosta a rotazione; sul breve-medio termine, l’offerta di sosta attuale dovrebbe essere mantenuta senza significative riduzioni (a meno di sovradimensionamento), per evitare di compromettere il consenso sull’intera strategia della Zona 30. Il secondo fattore critico legato alla riorganizzione della circolazione è relativo all’istituzione di sensi unici e tratti pedonalizzati o a woonerf, al fine di rendere più difficile e disincentivare il semplice attraversamento dell’area. I residenti possono lamentarsi del percorso più tortuoso che devono affrontare per spostarsi tra la propria abitazione e il punto più vicino in cui inserirsi nella rete viaria primaria; i commercianti tendono ad opporsi, per timore di perdere quei clienti “occasionali” che possono notare il negozio passandovi davanti con la propria automobile, quando sono in realtà diretti verso un’altra e non prossima destinazione. Generalmente, l’opposizione dei residenti tende a svanire in pochi mesi, alla constatazione dei benefici che la Zona 30 comporta in termini di vivibiltà a fronte del limitato ritardo temporale che può comportare negli spostamenti al suo interno. Quanto alle attività commerciali, non vi sono per ora studi che quantifichino l’impatto di una Zona 30 (così come di ZTL, ZTL ambientali, congestion pricing ecc.) sui fatturati; ad ogni modo, anche all’interno di una Zona 30, le strade con maggiore densità di negozi e servizi dovrebbero essere classificate come “strade di quartiere”, in cui una quota di traffico di scorrimento – se contenuta – può essere tollerata. 

Il caso della Zona 30 di Mirafiori Nord a Torino
Questi rischi di incompatibilità e l’importanza del processo di partecipazione possono essere messi in evidenza a partire da un’esperienza concreta: la Zona 30 di Mirafiori Nord aTorino. Nel luglio 2007 la Regione Piemonte emana un bando volto a promuovere la realizzazione di Zone 30 nei propri comuni aventi una popolazione superiore ai 10.000 abitanti. Il bando prevedeva un co-finanziamento regionale pari al 50% (per un’entità massima pari a 500 mila euro, e con un bugdet totale a disposizione di 2.960 mila euro) per progetti che rispondano a “tre ordini di obiettivi: la sicurezza, soprattutto nei confronti dei rischi, rappresentati dal traffico motorizzato, per gli utenti più vulnerabili quali pedoni e ciclisti; la multifunzionalità dello spazio stradale; la qualità del design dello spazio pubblico”. Il perseguimento di questi obiettivi deve tradursi, specificava ancora il bando, “nel miglioramento della vivibilità e nel miglioramento della qualità ambientale degli ambiti residenziali” (p. 2, allegato A al bando). La valutazione dei progetti prende anche in esame “eventuali misure integrative costituite dalle attività di consultazione, di partecipazione della cittadinanza, di educazione presso le scuole e degli strumenti che si intende adottare per il loro monitoraggio” (p. 3), con l’obiettivo di favorire la “diffusione nella comunità locale della nuova visione del problema della mobilità e dell’adesione a questo processo di cambiamento” (p. 5, allegato A). Contemporaneamente al bando, la Regione mette a disposizione dei Comuni un set di linee guida per la progettazione delle Zone 30, volte a descrivere la filosofia di fondo della strategia e ad illustrarne le modalità operative di ideazione e realizzazione, dall’individuazione degli ambiti al disegno ed esecuzione delle singole misure di moderazione del traffico. Il progetto che si è classificato per primo, valutato con 90 punti su 100, è stato presentato dal Comune di Torino: copre un’area a forma di losanga di circa 430 mila metri quadri, collocata nel quartiere Mirafiori Nord (nel quadrante sudovest della città), a destinazione d’uso prevalentemente mista o residenziale, con una popolazione di circa 10 mila residenti. Gli interventi previsti (per una spesa complessiva di 770 mila euro) consistono in misure di moderazione della velocità (20 porte di accesso, 4 intersezioni rialzate, minirotonde, riorganizzazione spaziale della sosta, introduzione di nuovi sensi unici, pedonalizzazione o conversione a woonerf di tratti stradali ecc.), potenziamento della dotazione di verde (con aiuole attrezzate con alberi, tappezzanti e essenze arbustive), miglioramento dell’arredo urbano (in particolare panchine, cestini portarifiuti, transenne, paletti, portabiciclette, pavimentazione stradale). Completata a giugno 2009, la Zona 30 ha dato risultati significativi. Nei primi due anni dalla sua predisposizione, ha visto ridursi in media le velocità di punta di 11 km/h (da 42 a 31); il traffico in ora di punta (7.45-8.45) è calato del 15% (con una riduzione più accentuata per i mezzi pesanti, -29%, e per i veicoli commerciali, -50%), spostandosi sui corsi che perimetrano la zona senza creare problemi di congestione. I livelli di rumore sono scesi mediamente nelle strade interne di 2 dB (che corrispondono quasi ad un dimezzamento della pressione sonora), con punte notturne di diminuzione di 8 dB. Quanto alla sicurezza, nei sette anni precedenti, tra il 2002 ed il 2008, si registravano in media nella zona 16 feriti lievissimi e 3 lievi, e nel 2006 e 2008 anche un ferito grave: con i nuovi limiti di velocità, i feriti lievissimi sono scesi a 5 all’anno, mentre un ferito lieve si è avuto solo nel 2009 e non nel 2010. Ciò significa aver evitato circa 370 giorni di prognosi nei due anni di esercizio, con un risparmio per le casse dello stato stimabile in oltre 500 mila euro: i due terzi del costo del progetto sono dunque già stati ripagati (fonte: www.zone30torino.it). A fronte di questi risultati ottenuti, è interessante analizzare i conflitti che hanno accompagnato il progetto e l’attuazione della Zona 30. Il 29 luglio 2008, il quotidiano torinese La Stampa pubblica a tutta pagina la notizia che la gara di maratona delle Olimpiadi di Pechino, che si svolgeranno da lì a pochi giorni, rischia di venire annullata a causa degli alti livelli di inquinamento atmosferico presenti nella capitale cinese. Nella pagina a fianco, a titolo di confronto, il quotidiano annuncia che a Torino sta per essere realizzata la prima Zona 30, nel quartiere di Mirafiori Nord, grazie al successo ottenuto nella partecipazione al bando regionale. La conoscenza del progetto e della sua prossima attuazione, in quel momento, è ancora limitata agli addetti ai lavori; il progetto non aveva previsto un piano di comunicazione ex ante, per cui i torinesi – compresi i residenti del quartiere – apprendono la notizia della sua esistenza dalla lettura del giornale. Nei giorni successivi, si innesca una decisa protesta proprio da parte dei residenti, attraverso numerose lettere al quotidiano: il futuro limite di velocità dei 30 km/h viene contestato per timori relativi al moltiplicarsi delle multe, alla riduzione dei posti auto, all’allungamento dei tempi di spostamento, alle distrazioni che si moltiplicherebbero, addirittura a possibili danni ai motori delle auto costrette a viaggiare a bassa velocità. Contestualmente, il quotidiano pubblica il risultato di un sondaggio tra i lettori, che per il 55% si oppongono alla sperimentazione. Nel dicembre 2008, una petizione di 300 firme viene inviata all’Assessore della viabilità, per esprimere il dissenso di residenti e lavoratori in Mirafiori Nord rispetto alla nuova regolazione della zona (i cui lavori di realizzazione sono iniziati nell’autunno). Pur riconoscendo i problemi di sicurezza esistenti, i firmatari affermano che il limite dei 30 km/h non verrà rispettato e non porterà benefici, anzi renderà più congestionato il traffico; inoltre, sostengono che alcune delle misure di moderazione della velocità introdotte – in particolare, le minirotatorie – porterannosoltanto disagi. Con l’avvio dei lavori, viene però inaugurata anche una campagna di informazione e di coinvolgimento dei cittadini. Viene creato un sito web che pubblica informazioni ed avvisi sull’attuazione del progetto, ed ospita un forum per raccogliere le opinioni e le segnalazioni dei cittadini; una newsletter viene diffusa per comunicare lo stato di avanzamento dei lavori ed i risultati annuali dei monitoraggi ex post. Vengono organizzati incontri in circoscrizione e in parrocchia. Gli abitanti sono coinvolti nei sopralluoghi per verificare la fattibilità degli interventi. I bambini di una scuola elementare della zona partecipano ai monitoraggi dei comportamenti di guida, mentre gli allievi di un liceo artistico collaborano nella redazione dell’analisi della situazione urbanistica e dei progetti di riqualificazione dello spazio pubblico. In base ai risultati dell’ultimo monitoraggio, a due anni dal completamento dei lavori il 68% dei residenti esprime un parere favorevole rispetto alla Zona 30, il 7% un parere negativo. È migliorato anche il giudizio complessivo sull’area: il 31% degli intervistati ritiene che la sicurezza sia migliorata, e le valutazioni negative sulla qualità del quartiere sono passate dal 19% pre-intervento al 7%. Alla luce di tali esiti, diverse altre Circoscrizioni cittadine hanno richiesto al Comune la realizzazione di Zone 30 anche in porzioni del proprio territorio. Il mantenimento del numero complessivo dei parcheggi ha disinnescato uno dei timori più manifestati dai residenti all’avvio del progetto. Ha invece sollecitato proteste soprattutto l’introduzione dei sensi unici, al fine di ridurre la permeabilità dell’area rispetto ai flussi di attraversamento: le lamentele dei residenti hanno riguardato i percorsi maggiormente tortuosi da compiere per ritornare alle abitazioni, mentre i commercianti della zona hanno espresso il disappunto per una possibile perdita di potenziali clienti, a causa proprio del ridursi dei flussi di attraversamento.

Conclusioni
L’esperienza di Mirafiori Nord a Torino, e più in generale le ormai innumerevoli Zone 30 realizzate da decenni nell’Europa centrale e del Nord da decenni, mostrano come anche interventi infrastrutturali poco invasivi possano innescare forme di conflittualità, nel momento in cui vanno a modificare abitudini e comportamenti di spostamento ormai consolidati. L’importanza che la mobilità – in forme sempre più articolate, frammentate e flessibili, alla luce della progressiva differenziazione degli stili di vita (Davico e Staricco 2006) – ha nella vita quotidiana delle persone, e la persistente forte dipendenza dal trasporto motorizzato privato anche per gli spostamenti di breve e medio raggio, rende particolarmente “sospetti” all’opinione pubblica urbana anche gli interventi soft di regolazione della circolazione: in questo senso, la denominazione “Zona 30” non aiuta, in quanto sottolinea soprattutto una penalizzazione nella velocità di spostamento. In realtà, queste forme di conflittualità possono essere gestite senza grandi difficoltà, purché da un lato l’attuazione della Zona 30 non si riduca alla semplice messa in sicurezza dello spazio stradale bensì consista in un progetto di sua riqualificazione complessiva, e dall’altro lato gli interventi fisici siano sin dalle prime fasi progettuali affiancati da un adeguato piano di comunicazione e di partecipazione, che ne faccia conoscere i costi ed i benefici effettivi per chi vive nell’ambito interessato. Piuttosto, proteste e scontento più diffusi e forti possono innescarsi sul lungo periodo, se le Zone 30 vengono diffuse sistematicamente sul centro abitato cittadino fino a coprire la maggior parte degli ambiti residenziali. Come si è già accennato, la rete stradale primaria delle città italiane non sembra attualmente in grado di supportare tutto il traffico di scorrimento ad oggi esistente: di conseguenza, a meno di una contestuale politica di consistente potenziamento del trasporto collettivo che garantisca un riequilibrio modale, c’è il forte rischio che sulla rete delle strade secondarie interne alle Zone 30 si riversi anche una quota significativa di flussi di attraversamento, che cercano un’alternativa alle strade principali congestionate. Una situazione di questo tipo annullerebbe molti dei benefici di vivibilità per i residenti delle Zone 30 (a causa di maggiori livelli di inquinamento atmosferico, rumore ecc.), e costringerebbe parte degli automobilisti a compiere viaggi di medio raggio prevalentemente su strade a velocità moderata. In altre parole, si conferma quanto ormai consolidato nelle teorie dei trasporti (Wegener e Fürst 1999): misure push di razionalizzazione e disincentivazione del trasporto motorizzato privato, come un’attuazione diffusa e generalizzata delle Zone 30, possono essere efficaci solo se adeguatamente integrate da misure di tipo pull, volte a potenziare le forme di trasporto collettivo, per compensare con queste i minori livelli di accessibilità per le automobili.

I criteri guida per la progettazione delle zone 30 della Regione Piemonte (2007)

  1. PREMESSA


La strategia delle zone 30 ha in sé insito il concetto di “flessibilità applicativa”, nel senso che, a fronte di una serie di misure standard, ormai consolidate e che costituiscono il kit degli attrezzi del progettista delle zone 30, esiste una grandissima varietà di situazioni particolari, alle quali queste misure devono essere adattate. In questo adattamento, tali misure richiedono grande attenzione e abilità tecnica nel trovare la soluzione più efficace ed efficiente per ciascuna particolare situazione. Vi sono, infatti, moltissime varianti di strade di quartiere e di strade locali: al limite, si può affermare che ogni strada è un caso particolare. A determinare questa varietà concorrono svariati fattori: la sezione, il tracciato, la lunghezza, la quantità e la composizione del traffico, la domanda di sosta, le attività che vi si affacciano e le loro densità, il contesto architettonico e storico, le risorse disponibili, le abitudini di guida consolidate, il grado di accettazione della comunità locale. Non è a caso che si insiste sul ruolo determinante del coinvolgimento pubblico nel processo di piano delle zone 30; poiché l’esperienza quotidiana dei cittadini è utile e il loro consenso è indispensabile.
Ciononostante vi sono alcuni criteri guida che caratterizzano in modo peculiare la progettazione delle zone 30 e che vanno considerati come un discrimine, nel senso che distinguono ciò che propriamente va inteso come zona 30 da ciò che non è, in senso proprio, una zona 30.
Il piano della zona 30 si riferisce, per definizione, ad un ambito areale e non a singoli tratti di strada: esso è un progetto di ambito residenziale e di rete e come tale va impostato e attuato. Tale ambito è delimitato da un poligono di strade di scorrimento, cioè interessate da traffico di attraversamento: all’interno della zona 30 esistono solo strade diquartiere e strade locali.
Il piano, inoltre, persegue tre ordini di obiettivi: la sicurezza del traffico, la multifunzionalità della strada e la qualità del design dello spazio pubblico. Questi tre obiettivi costituiscono anche i criteri basilari della progettazione degli interventi della zona 30.



  1. LA SICUREZZA


Il criterio della sicurezza può essere sinteticamente espresso nei seguenti termini: disegnare la strada in modo che il conducente di un veicolo motorizzato sia indotto a mantenere costantemente la velocità di sicurezza.
Questo criterio si basa sulla constatazione che il comportamento di guida è fortemente condizionato dal disegno della strada1, per cui la progettazione della zona 30 fa leva sul disegno stradale, tramite opportune misure di moderazione del traffico, per indurre il conducente a mantenere costantemente la velocità di sicurezza, la quale è variabile da luogo a luogo. Le misure di moderazione vengono dunque adottate solo là dove si valuti che la velocità di percorrenza supera quella di sicurezza. Il progettista della zona 30 deve essere un attento osservatore del comportamento di guida e come questo sia influenzato dal modo in cui la strada è disegnata2.
In proposito vi sono alcune correlazioni importanti che il progettista deve tenere sempre presenti:

  • longitudinalità della strada/velocità. La longitudinalità accentua il carattere di canale di traffico della strada ed invoglia alla velocità; pertanto bisogna interrompere le lunghe linee di convergenza orizzontale (quali i fili dei marciapiedi), riducendo la longitudinalità in modo tanto più accentuato quanto più si vuole ridurre la velocità: la moderazione del traffico predilige l’andamento sinuoso evitando il lungo rettifilo;
  • ampiezza della sezione stradale/velocità. Le corsie veicolari ampie favoriscono la velocità; pertanto bisogna ridurre la larghezza della corsia al minimo strettamente necessario, tenendo conto dell’ingombro dinamico dei veicoli;
  • orizzontalità del piano stradale/velocità. L’orizzontalità del piano stradale e l’assenza di ogni elemento che, emergendo in verticale, possa apparire come un potenziale ostacolo, favoriscono la velocità; pertanto, l’adozione di misure verticali contribuisce a moderare la velocità;
  • tipo di paesaggio stradale/velocità. Il paesaggio tipico della strada come canale di traffico induce alla velocità; un paesaggio dove prevalga l’aspetto del cortile-giardino per il gioco dei bambini o per la sosta e l’incontro delle persone induce ad adottare un regime di guida prudente; pertanto occorre, tutto dove ciò è possibile, trasformare il paesaggio stradale in modo da fargli assumere l’aspetto di un luogo poco adatto alla circolazione veicolare;
  • visibilità/velocità. La buona visibilità di pedoni e ciclisti nei punti di potenziale impatto, come sono le intersezioni, consente ai conducenti di regolare tempestivamente la velocità riportandola nei margini di sicurezza; pertanto occorre che i punti di potenziale impatto con gli utenti deboli siano dotati di alta visibilità.

Le migliori pratiche di disegno sono quelle che esercitano il giusto effetto di moderazione della velocità, senza rendere troppo disagevole la guida del veicolo: una buona progettazione induce a moderazione il traffico motorizzato, senza provocare disagi al percorso dei mezzi di emergenza, quali l’ambulanza o i vigili del fuoco. Nella progettazione delle misure di moderazione bisogna tener sempre presente il vincolo di non rendere disagevole il transito dei mezzi che svolgono servizi pubblici.

  1. LA MULTIFUNZIONALITÀ


Il criterio della multifunzionalità può essere espresso nei seguenti termini: la strada non è solo lo spazio delle automobili, ma anche della vita di quartiere.
La grande diffusione dell’auto ha posto un problema di maggiore equità nella distribuzione dello spazio pubblico della strada tra le diverse funzioni che in esso possono svolgersi e che renderebbero più libera e gradevole la vita nell’ambito residenziale urbano. Oltre alle forme di mobilità non motorizzata, come quella pedonale e quella ciclabile, vi sono funzioni che i cittadini tendono spontaneamente a svolgere, qualora vi siano le condizioni ambientali appropriate: ad esempio la disponibilità di spazi e arredi adeguati favorisce la sosta, il riposo e l’interazione sociale, in particolare tra gli anziani; così come la presenza di spazi sicuri e adeguatamente attrezzati favorisce lo svolgimento delle attività ludiche di bambini e ragazzi.
Si possono stabilire condizioni di minima non rispettando le quali si produce una situazione di iniquità nei confronti di una o più di tali funzioni, che dovrebbero potersi svolgere nello spazio delle strade degli ambiti residenziali.
Come condizioni minime di multifunzionalità, la strada deve assicurare:

  • percorsi pedonali continui, sicuri, senza barriere architettoniche, sufficientemente spaziosi, gradevoli;
  • percorsi pedonali cadenzati dalla presenza di zone di sosta e di incontro;
  • percorsi ciclabili continui, sicuri, gradevoli;
  • spazi gioco confortevoli, protetti e facilmente sorvegliabili da parte degli abitanti.

Questa maggiore diversificazione delle funzioni dello spazio stradale è comunque soggetta al vincolo di non ridurre l’offerta di parcheggi per auto al di sotto della domanda effettiva: non è infatti tra i compiti del piano di zona 30 quello di intervenire sulla domanda di sosta; per incidere su di essa si richiedono misure di ordine più generale, che sono di competenza del piano strutturale della mobilità e del piano regolatore comunale.
Questo vincolo può costituire un serio ostacolo al perseguimento dell’obiettivo della multifunzionalità là dove vi sia un’elevata domanda di parcheggio: la multifunzionalità è fortemente dipendente dalla pressione ambientale esercitata dalla superficie occupata dalle auto in sosta.



  1. LA QUALITÀ DEL DESIGN


Il criterio della qualità del design può essere espresso nei seguenti termini: la strada è lo spazio architettonico fondamentale della città, per questo deve essere gradevole.


L’architettura urbana è lo spazio vuoto delimitato dallo spazio pieno delle costruzioni; la qualità architettonica di una città dipende dalla qualità dei suoi spazi i quali sono, in larghissima misura, strade: sono le strade che consentono la percezione dell’architettura di una città.
La progettazione della zona 30, in quanto agisce sul disegno della strada, può contribuire a migliorare la qualità architettonica dello spazio pubblico della città.
Il disegno delle singole misure di moderazione del traffico, dovrebbe essere preceduto da uno studio che fornisca le linee guida del design urbano, al quale i singoli piani di zona 30 devono attenersi allo scopo di pervenire ad una caratterizzazione unitaria e di qualità delle varie zone in merito alla scelta dei materiali delle pavimentazioni, dei particolari costruttivi, degli elementi di arredo, delle scelte illuminotecniche, della composizione del materiale vegetale.
Si possono in proposito fornire alcuni criteri basilari ai quali attenersi:

  • le esigenze di unitarietà non devono andare a discapito della varietà dei luoghi;
  • materiali, elementi costruttivi ed arredi devono tenere conto delle caratteristiche storiche dell’architettura dei luoghi, senza rinunciare ad introdurre innovazioni estetiche e tecniche nel disegno;
  • è opportuno fornire possibili soluzioni alternative entro le quali le comunità locali possano esprimere le proprie preferenze;
  • le soluzioni proposte devono presentare elevati standard di qualità sotto tutti i profili: dal disegno, alle prestazioni tecniche, all’efficienza manutentiva.

Nel disegno del paesaggio costruito i particolari sono importanti. Chi osservasse con l’occhio critico del designer le strade che normalmente percorriamo nelle nostre città, non potrebbe fare a meno di provare un senso persistente di fastidio per l’imperizia del disegno dell’insieme come dei particolari costruttivi e del modo di porli in opera, per la scarsa corrispondenza tra forma e funzione, per l’inosservanza dei più elementari criteri della sicurezza per pedoni e ciclisti e dell’agibilità da parte di persone disabili.
Il tema di una buona qualità diffusa sembra essere, a tutti i livelli della progettazione, della esecuzione e della manutenzione, il problema principale del disegno dello spazio pubblico della città.
Osservando con lo stesso sguardo critico le strade di Amsterdam, non potremmo fare a meno di notare come, dietro al loro disegno, vi sia, normalmente, un consistente lavoro di progettazione che, conoscendo a fondo il comportamento dell’utente, ha previsto e risolto razionalmente le varie possibili situazioni in cui carreggiata, corsia dedicata al mezzo pubblico, binari del tram, pista ciclabile, marciapiede, fermate dei mezzi pubblici e aree di sosta si possono combinare. Così come risulta evidente la standardizzazione degli elementi costruttivi, che ha consentito di ottenere una produzione in serie con un sensibile abbassamento dei costi di produzione, ma anche con il conseguimento di quell’effetto di unitarietà e di continuità di trattamento dello spazio stradale che finisce per essere un non trascurabile elemento connotativo del paesaggio urbano.
Quanto sopra per dire che sarebbe auspicabile si affermasse in modo diffuso un’arte e una tecnica del design stradale urbano. In questo le amministrazioni locali, specie le più importanti, possono fare molto e un ruolo non secondario può averlo la progettazione delle zone 30, dalla cui esperienza possono derivare collaudate best practices.



  1. L’EFFICACIA E L’EFFICIENZA


La trasformazione delle strade degli ambiti residenziali secondo i criteri basilari della sicurezza, della multifunzionalità e della qualità del design, pone un non facile problema di efficacia ed efficienza del piano della zona 30; dove l’efficacia degli interventi è in rapporto al grado di perseguimento degli obiettivi e l’efficienza dipende dal costo di realizzazione e di manutenzione degli interventi stessi.
Molti manuali di progettazione sono corredati da valutazioni di costi ed efficacia dei singoli interventi; ma non bisogna dimenticare che l’efficacia dei singoli interventi va valutata complessivamente per l’effetto di sistema che questi esercitano: essi vanno pensati e valutati nella dinamica sequenziale dei possibili percorsi.
Per questo, quasi tutti i manuali consigliano di adottare – specie nelle situazioni più problematiche
misure di carattere provvisorio, da sottoporre ad un congruo periodo di sperimentazione e collaudo, prima di passare alle soluzioni definitive, le quali sono, in genere, costose.
Con riferimento all’efficienza, va tenuto presente che la trasformazione prospettata con il piano di zona 30 comporta un sensibile aumento dei costi, in particolare per quanto attiene alla manutenzione.
Per questo è particolarmente importante prestare una particolare attenzione alla ricerca di soluzioni tecniche efficaci ma a basso costo; così come non va sottovalutato l’apporto, che può derivare dal coinvolgimento delle comunità dei cittadini tramite opportune forme di partenariato, specialmente dove si tratti di gestire strade del tipo woonerf.
In una città, specie se di grandi dimensioni, vi è un’ampia tipologia di ambiti residenziali, che vanno dal centro storico all’estrema periferia, con mix di funzioni che variano dalla predominanza delle abitazioni alla fitta presenza di attività terziarie di tipo commerciale e direzionale, con tessuti edilizi che variano da situazioni di alta densità e compattezza a situazioni di bassa densità e porosità. Ma, nonostante questo ampio ventaglio tipologico, esse sono pur sempre aree dove si abita e si vive e dove dunque si pone un problema di qualità dello spazio pubblico delle strade, al quale il piano della zona 30 deve saper dare una risposta, adattando, con grande maestria, tecniche e manufatti alla varietà delle situazioni e ponendosi traguardi di sicurezza, multifunzionalità e qualità del design. Un piano di zona 30 deve saper valutare le proprie prestazioni in termini di efficacia e di efficienza relativamente ai traguardi che si è posto: per questo esso ha bisogno dei giusti indicatori di efficacia i cui valori vanno rapportati ai costi per valutare l’efficienza.


  1. ZONE 30 A BASSO COSTO

Come è noto, il criterio, che in modo specifico caratterizza la strategia delle zone 30, è quello secondo cui si deve procedere per ambiti residenziali e non per singole aste stradali o per singoli nodi. Ciò impone uno standard minimo di intervento che costituisce la fase iniziale, da considerarsi come indispensabile e che comporta la realizzazione di tutte le porte di accesso alla zona 30 e la messa in sicurezza dei principali punti a maggior rischio di incidentalità (intersezioni pericolose, piattaforme antistanti a scuole e ad altri edifici pubblici, eliminazione degli “stop”, ecc.).
A questi interventi si devono poi aggiungere quelli a carattere dimostrativo o che fanno sistema, suscettibili di imprimere in modo evidente il segno del cambiamento, quali: la pedonalizzazione di piazze, la chiusura di strade con la realizzazione di woonerven, il miglioramento unitario delle strade di quartiere, ecc. Questi interventi devono costituire l’occasione per migliorare la qualità ambientale del paesaggio stradale con appropriati interventi di arredo, sebbene abbiano costi di realizzazione e di manutenzione piuttosto elevati.
È dunque opportuno configurare diversi livelli di standard di qualità e di costo degli interventi, che devono essere scelti in funzione del tipo di zona, delle risorse disponibili e della tempistica degli interventi.
Considerando l’urgenza di mettere in sicurezza gli ambiti residenziali e la necessità di procedere per aree estese, invece che per singole strade o nodi critici, le linee guida dei principali Paesi europei (si veda ad esempio IHT - The Institution of Highways and Transportation, 2005, Traffic Calming Techniques) suggeriscono di optare inizialmente per le soluzioni meno costose, che si basano sull’impiego di elementi standard facilmente collocabili e rimuovibili, quali i dissuasori mobili, e fanno ampio uso della segnaletica orizzontale dipinta sulla superficie stradale.
In questo modo, si possono ottenere due importanti vantaggi:

  • si mette rapidamente in sicurezza un intero ambito residenziale, contenendo i costi, abbreviando la durata della fase di cantiere e facilitando la comprensione, da parte degli abitanti, della strategia proposta dal piano di zona 30;
  • si adottano soluzioni leggere di tipo provvisorio, in modo da poterne sperimentare l’efficacia (attraverso la valutazione in itinere del piano e la partecipazione attiva dei cittadini) prima di procedere alla realizzazione delle soluzioni definitive, necessariamente più costose e meno flessibili, anche se caratterizzate da una migliore qualità del design.
  1. QUADRO RIASSUNTIVO DEI CRITERI TECNICI

I criteri sopra indicati possono essere formulati in termini più operativi sotto forma di criteri tecnici, che il progettista delle zone 30 dovrebbe seguire. Questi possono essere così elencati, tenendo conto della sequenza logica delle operazioni di progetto:


  1. ridurre lo spazio di circolazione del traffico motorizzato al minimo necessario, cedendo l’eccedenza allo spazio pedonale e ciclabile;
  2. garantire l’offerta minima di parcheggi per soddisfare la domanda effettiva, cedendo l’eccedenza allo spazio pedonale e ciclabile;
  3. disegnare le corsie dedicate al traffico motorizzato in modo tale da indurre il conducente al mantenimento costante della velocità di sicurezza, adottando le misure di moderazione del traffico, le quali vanno giocate non come singoli interventi ma come sistema sequenziale;
  4. assicurare la continuità della rete dei percorsi pedonali, la messa in sicurezza delle intersezioni, l’eliminazione sistematica delle barriere architettoniche, la protezione e il giusto dimensionamento delle aree di affollamento delle persone;
  5. massimizzare i tratti di strada trattati a woonerf;
  6. assicurare la continuità della rete delle piste ciclabili e la loro massima sicurezza;
  7. scegliere una linea stilistica nel design degli elementi di arredo, che tenga conto delle caratteristiche architettoniche delle varie zone e del più generale contesto urbano;
  8. rinverdire il più possibile le strade creando una rete verde nel rispetto delle caratteristiche architettoniche delle strade;
  9. scegliere manufatti e materiali di buone prestazioni tecniche ed efficienti in termini di costi di manutenzione;
  10. definire l’abaco tipologico degli interventi provvisori e di quelli definitivi;
  11. definire gli indicatori per valutare le prestazioni del sistema degli interventi.